2011-02-02 15:20:06

Manifestazione a Roma per non dimenticare i rifugiati in ostaggio nel Sinai


Per non dimenticare tutti i rifugiati tenuti in ostaggio da predoni nel Sinai al confine tra Egitto ed Israele, centinaia di persone hanno partecipato ieri sera a Roma ad una fiaccolata promossa da diverse organizzazioni tra cui Habeshia, Centro Astalli e Cir. Un intenso momento di solidarietà. Servizio di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Tenere viva la speranza che le coscienze di chi ha la responsabilità di governare si possano risvegliare, portando l’attenzione sui disgraziati del nostro mondo. Questo l’intento di tutti coloro che - ieri sera - “armati” di fiaccole e silenzio, si sono ritrovati al Campidoglio: tra loro don Giovanni La Manna direttore del Centro Astalli:

R. - Il silenzio è stato scelto per contrastare il silenzio dell’indifferenza, nel quale sono finiti gli eritrei, così come altre persone. Il nostro silenzio voleva essere e vuole essere un silenzio attivo, capace di interpellare, di mettere in crisi le coscienze di quanti hanno il dovere - oltre che la responsabilità - di restituire dignità e riconoscere i diritti di quanti sono costretti ancora a lasciare la propria terra, perché perseguitati. Le parole di chi dovrebbe preoccuparsi di queste persone dicono una cosa, ma la volontà effettiva poi manca. E’ una schizofrenia che ci preoccupa, perché dice che poniamo attenzione solo alle dichiarazioni e non ai fatti.

D. - Padre La Manna, questa schizofrenia appartiene alle istituzioni: a chi da sempre dice di voler combattere il traffico degli esseri umani…

R. - Questa è la nostra mancanza e le istituzioni sono innanzitutto le Nazioni Unite, dove si parla di voler pacificare i Paesi di provenienza, mettendo fine ai conflitti. Abbiamo raggiunto un livello di indifferenza preoccupante, dove la vita di una persona può essere messa a rischio o perduta nell’indifferenza totale. Questo è un livello bassissimo di umanità e di civiltà che abbiamo raggiunto. E per questo noi passeremo alla storia come una civiltà che non ha saputo rispettare la dignità delle persone né rispettarne i diritti.

D. - Avete notizie nuove rispetto a quelle che già si conoscono sulla sorte di queste persone?

R. - Sappiamo che alcuni hanno perso la vita mentre altri sono finiti in un gioco drammatico: il trafficante che si è fatto arrivare il riscatto, invece di liberare la persona, l’ha rivenduta a qualche altro trafficante per chiedere poi un ulteriore riscatto.

Il caos in Egitto prevale su tutto, ma anche prima la sorte di queste persone non era una priorità del governo Mubarak. “Oggi nel Paese manca un interlocutore istituzionale”: denuncia don Moussé Zerai, di Habeshia, che da mesi si occupa di questi poveretti, “ma anche prima - continua - nessuno al Cairo aveva mosso un dito per aiutarli”. Don Zerai sollecita l’intervento delle autorità italiane e delle forze Onu ed è l’unico in contatto diretto con alcuni dei sequestrati: fingendosi un familiare, i rapitori gli consentono di telefonare ai prigionieri per facilitare il pagamento di un eventuale riscatto. Ecco la testimonianza di uno degli eritrei ricevuta dalla nostra emittente:

(Parole in eritreo)
“Siamo qui, prigionieri. Non mangiamo da tre giorni… Fa freddo, piove e siamo tutti in mezzo al fango, abbandonati …. E stiamo male, molto male!”.

Del primo gruppo dei 250 rapiti una settantina sono stati liberati dopo il pagamento del riscatto; i morti finora sarebbero una ventina, altri sono scomparsi e si teme siano rimasti vittime del traffico di organi. Ma il numero reale dei sequestrati resta ancora del tutto sconosciuto. (mg)







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