2011-01-27 14:24:24

La retata di 13 mila ebrei nella Francia di Pétain del '42 rievocata nel film "Vento di primavera"


Francia, 1942: nella Parigi occupata si consuma una delle pagine più efferate della Seconda Guerra Mondiale: la retata di 13 mila ebrei ordinata dai nazisti e messa in atto dalla Francia collaborazionista, nella quale furono migliaia i bambini strappati ai genitori. La regista Rose Bosch rievoca questo episodio poco conosciuto della storia nel film “Vento di primavera” sugli schermi italiani da oggi, Giornata della Memoria. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

“Eccoli! Stanno arrivando!

Quanti ce ne sono? Quanti sono?

Cinquemila …

Papà!”
Dalla memoria alla storia attraverso il cinema: per ricordare colpe rimosse, orrori dimenticati, violenze subite, la perdita di una coscienza. Iniziava, infatti, a soffiare il vento di primavera, lasciando poi il posto all'afa dell'estate, sulla Parigi occupata dalle truppe naziste. All'alba del 16 luglio 1942, in una retata apocalittica e spaventosa, vengono rastrellati 13 mila ebrei, ammassati come bestie nel Velodromo d'Inverno, in attesa di essere soppresse. Rose Bosch ha convissuto dieci anni con questa lontana realtà e per tre vi si è immersa giorno e notte per recuperare più materiale possibile, più testimonianze dirette, per esprimere il suo amore per la verità e la sua speranza di giustizia. Si trattava anche di toccare aspetti delicati, come quello del collaborazionismo nella Francia del Maresciallo Pétain, una zona d'ombra e un malessere mai rimosso. Il film nasce come una creatura delicata, perché è delicato raccontare la storia di migliaia di bambini ebrei strappati ai genitori e avviati alla morte, è delicato rivivere quei fatti, anche se nel clima di un set cinematografico, è delicato lavorare con oltre duecento piccoli e immedesimarli in un contesto così orrendo, spaventoso. Nel film, giustamente, l'intimo delle famiglie spezzate è messo a confronto con l'intimo dei poteri sanguinari, anche Hitler, che ha pietà per gli animali e al macello invia, invece, esseri umani. Tanti i motivi di discussione. Ma quanto effettivamente di questa storia del ’42 era conosciuto in Francia? Lo abbiamo chiesto alla regista, Rose Bosch:

R. – Dans ma génération, ça représentait seulement trois lignes dans le livre…
Nella mia generazione, tutto questo veniva liquidato nei libri di storia con tre righe. In Francia ci si è completamente dimenticati che ci sono stati 200 campi, simili ai campi di concentramento della Polonia: con le stesse torri di guardia, con gli stessi cani-poliziotto, eccetto che per il fatto che le uniformi erano francesi… Di tutto questo, non c’era alcuna immagine, neanche una foto. Ho ritrovato i sopravvissuti, che erano bambini all’epoca e che erano riusciti ad evadere. Io racconto proprio la storia dell’evasione di questi bambini.

Protagonista è Joseph, allora un ragazzino biondo e dolce, oggi un adulto che Rose Bosch è riuscita a trovare e che è stato prezioso per la ricostruzione, assolutamente affidabile perché incardinata sull'esistenza di 74 personaggi veri…

R. – D’abord il y a fallut que je les trouve …
Prima di tutto, ho dovuto trovarli. Serge Klarsfeld, il mio consigliere storico, pensava che non sarei mai riuscita a trovare quei bambini, il cui destino avrebbe potuto condurmi proprio in quel campo francese che io volevo mostrare, che io volevo filmare. Poi un giorno, mio suocero, mi ha mandato una videocassetta che conteneva una trasmissione televisiva di 15 anni prima, nella quale un uomo anziano raccontava che al momento dei fatti aveva 10 anni, che viveva a Montmartre e viveva una vita molto felice. Ancora, raccontava come fosse stato prelevato dalla sua abitazione alle quattro del mattino dalla polizia francese e come, arrivato in un campo, fu brutalmente separato da sua madre, a colpi di bastone. In quel momento decise che sarebbe evaso. In questa intervista quest’uomo si mise a piangere e disse: “Nessuno, oserà mai realizzare un film su quello che ci è successo!”. Io l’ho cercato ovunque, non sapevo se fosse vivo o morto… Un giorno, mi è stata consegnata una lettera, anche questa di 15 anni prima, con un indirizzo: l’aveva scritta lui ad un ministro per raccontare la sua esperienza. Ma dato che io non riuscivo a trovarlo, decisi allora di scrivergli una lettera, dicendo: “Il film del quale lei ha parlato, io lo faccio! Se è ancora in vita, lei ne sarà il protagonista”. E lui mi ha telefonato.

D. – Jean Reno, che nel film interpreta un coraggioso medico ebreo, esclama: “Qualcuno un giorno pagherà per questo”. Ma qualcuno ha pagato per quello che è successo in quel mese di luglio del ‘42?

R. – No, no. C’est pour ça que je lui ai fait dire ce phrase …
No, no. E’ per questo che gli ho fatto dire questa frase. E questo perché in verità, dopo la guerra, la Francia e il generale De Gaulle hanno voluto conservare lo Stato, uno Stato che funzionava: per questo, molti pochi responsabili sono stati puniti per questi fatti: Laval è stato fucilato, alcuni responsabili hanno scontato qualche anno in prigion. Ma anche le persone che erano state condannate al carcere a vita sono state graziate negli anni Sessanta e queste persone hanno poi condotto una vita normale. Fra l’altro, uno dei responsabili francesi dell’organizzazione di questo rastrellamento – che si vede nel film, perché nel film io mostro Pétain, Laval, ma anche Hitler e Himmler, tutti i responsabili sono lì – è rimasto in Francia, ci ha vissuto liberamente, è stato anche amico intimo di François Mitterrand. Quando Serge Klarsfeld è riuscito a farlo accusare per crimini contro l’umanità, poco prima che parlasse, è stato assassinato, dicono da un pazzo. Penso si sia trattato di un assassinio politico. In effetti, la Francia non ha compiuto questa opera di punizione, di castigo… Credo allora che il malessere dei francesi riguardo a questa collaborazione venga da ciò: se non vengono puniti i colpevoli, allora avrete un Paese intero che non sa quel che vale! (mg)







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