2011-01-20 15:22:42

Emergenza giovani in Italia. Acli: sistema scolastico e lavorativo dietro la disoccupazione


Gli ultimi dati Istat sulla situazione che vivono donne e giovani italiani, resi noti ieri con il dossier “Noi Italia”, hanno suscitato un’ondata di preoccupazione. A far riflettere sono anzitutto i due milioni di ragazzi, tra i 15 e 29 anni, che l’indagine mostra estranei a qualunque percorso di lavoro e di formazione. E con loro le donne, risultate nel 2009 senza alcun lavoro per quasi il 50%. Senza contare il deficit di percorso scolastico e universitario, tra i peggiori d’Europa. Per una lettura di questi dati, Massimiliano Menichetti ha chiesto un parere a Maurizio Drezzadore, responsabile lavoro delle Acli:RealAudioMP3

R. – Certamente, è una fotografia preoccupante ed è frutto dell’incrocio di due fenomeni tutti italiani, che sono per noi fortemente critici e ci contraddistinguono dal resto dell’Europa. Il primo è che nell’ambito dell’età scolastica e nel percorso delle superiori, noi abbiamo una dispersione del 23 per cento, e cioè su ogni cento iscritti ai percorsi della scuola secondaria superiore, 23 non terminano per abbandono o per selezioni. Questo evidentemente è frutto di un modello della scuola italiana che pone il suo baricentro sull’apprendimento teorico, astratto, ed è poco attento invece alla quotidianità e ai contenuti del vivere. Il secondo elemento di criticita è la lunga transizione tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro. Quindi, nell’arco di età fra i 20 e i 30 anni si crea una disoccupazione giovanile, spesso di lunga durata, che in qualche modo deriva a sua volta prevalentemente da due processi: una scuola che opera in totale asimmetria rispetto all’impresa e al contesto economico, e una rete di imprese che è attenta prevalentemente alle assunzioni di giovani con basse qualifiche e con bassi titoli.

D. – Ma questo perché accade e che cosa bisognerebbe fare per risolvere questo problema?

R. – Sicuramente, bisogna rafforzare la filiera tecnico-professionale del sistema scolastico e formativo italiano, che è una risposta adeguata a quell’apprendimento di tipo tecnologico che oggi l’evolversi della società, in particolare l’ampia penetrazione delle nuove tecnologie, richiede; in secondo luogo, bisogna creare un sistema di reti nelle imprese italiane che valorizzi le competenze e le professionalità crescenti. Paradossalmente noi oggi abbiamo una sfida nel sistema economico che porta le piccole imprese, che sono la rete italiana più significativa, a conquistare i mercati esteri, perché ormai questa è la dinamica dei mercati; nel contempo, però, questa sfida non viene sorretta da adeguati profili professionali, perché nelle imprese oggi, prevalentemente, non c’è attenzione ad assumere i laureati, che rimangono una piccola, piccola minoranza.

D. – Alcuni accusano i giovani di essere dei fannulloni. In realtà non è così: loro subiscono tutto ciò ...

R. – Sicuramente sì. Si è enfatizzata l'accusa dei giovani come fannulloni, si è enfatizzata la dinamica di permanenza in famiglia dei giovani in Italia, ma sono tutte conseguenze di cause strutturali, non sono scelte. Noi ci aggiriamo, unico Paese in Europa, attorno al 28-29% della disoccupazione giovanile e sappiamo bene che si tratta di giovani senza reddito, che possono vivere solo con il sostegno delle famiglie e, quindi, sono indotti alla permanenza in famiglia anche per un contesto sociale complesso come quello dei costi da sostenere per le locazioni mobiliari. (ap)







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