Emergenza giovani in Italia. Acli: sistema scolastico e lavorativo dietro la disoccupazione
Gli ultimi dati Istat sulla situazione che vivono donne e giovani italiani, resi noti
ieri con il dossier “Noi Italia”, hanno suscitato un’ondata di preoccupazione. A far
riflettere sono anzitutto i due milioni di ragazzi, tra i 15 e 29 anni, che l’indagine
mostra estranei a qualunque percorso di lavoro e di formazione. E con loro le donne,
risultate nel 2009 senza alcun lavoro per quasi il 50%. Senza contare il deficit di
percorso scolastico e universitario, tra i peggiori d’Europa. Per una lettura di questi
dati, Massimiliano Menichetti ha chiesto un parere a Maurizio Drezzadore,
responsabile lavoro delle Acli:
R. – Certamente,
è una fotografia preoccupante ed è frutto dell’incrocio di due fenomeni tutti italiani,
che sono per noi fortemente critici e ci contraddistinguono dal resto dell’Europa.
Il primo è che nell’ambito dell’età scolastica e nel percorso delle superiori, noi
abbiamo una dispersione del 23 per cento, e cioè su ogni cento iscritti ai percorsi
della scuola secondaria superiore, 23 non terminano per abbandono o per selezioni.
Questo evidentemente è frutto di un modello della scuola italiana che pone il suo
baricentro sull’apprendimento teorico, astratto, ed è poco attento invece alla quotidianità
e ai contenuti del vivere. Il secondo elemento di criticita è la lunga transizione
tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro. Quindi, nell’arco di età fra i 20 e
i 30 anni si crea una disoccupazione giovanile, spesso di lunga durata, che in qualche
modo deriva a sua volta prevalentemente da due processi: una scuola che opera in totale
asimmetria rispetto all’impresa e al contesto economico, e una rete di imprese che
è attenta prevalentemente alle assunzioni di giovani con basse qualifiche e con bassi
titoli.
D. – Ma questo perché accade e che cosa bisognerebbe fare per
risolvere questo problema?
R. – Sicuramente, bisogna rafforzare la filiera
tecnico-professionale del sistema scolastico e formativo italiano, che è una risposta
adeguata a quell’apprendimento di tipo tecnologico che oggi l’evolversi della società,
in particolare l’ampia penetrazione delle nuove tecnologie, richiede; in secondo luogo,
bisogna creare un sistema di reti nelle imprese italiane che valorizzi le competenze
e le professionalità crescenti. Paradossalmente noi oggi abbiamo una sfida nel sistema
economico che porta le piccole imprese, che sono la rete italiana più significativa,
a conquistare i mercati esteri, perché ormai questa è la dinamica dei mercati; nel
contempo, però, questa sfida non viene sorretta da adeguati profili professionali,
perché nelle imprese oggi, prevalentemente, non c’è attenzione ad assumere i laureati,
che rimangono una piccola, piccola minoranza.
D. – Alcuni accusano i
giovani di essere dei fannulloni. In realtà non è così: loro subiscono tutto ciò ...
R.
– Sicuramente sì. Si è enfatizzata l'accusa dei giovani come fannulloni, si è enfatizzata
la dinamica di permanenza in famiglia dei giovani in Italia, ma sono tutte conseguenze
di cause strutturali, non sono scelte. Noi ci aggiriamo, unico Paese in Europa, attorno
al 28-29% della disoccupazione giovanile e sappiamo bene che si tratta di giovani
senza reddito, che possono vivere solo con il sostegno delle famiglie e, quindi, sono
indotti alla permanenza in famiglia anche per un contesto sociale complesso come quello
dei costi da sostenere per le locazioni mobiliari. (ap)