Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Mons. Bruno Forte: annunciare divisi
il Vangelo dell'Amore è uno scandalo
Il compito arduo ma entusiasmante dell’unità di tutti i seguaci di Cristo anima la
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in programma a partire da oggi fino
al prossimo 25 gennaio ed incentrata sul tema: “Uniti nell’insegnamento degli apostoli,
nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera”. Come ha ricordato Benedetto
XVI domenica scorsa all’Angelus, “è fondamentale che i cristiani, pur essendo sparsi
in tutto il mondo e, perciò, diversi per culture e tradizioni, siano una cosa sola”.
Nell’intervento pubblicato dall’Osservatore Romano, il cardinale Kurt Koch, presidente
del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sottolinea inoltre
che è giunta l’ora di una rinnovata “responsabilità ecumenica”. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
“La speranza
ecumenica – osserva il cardinale Kurt Koch – è alimentata soprattutto
dalla convinzione che il movimento ecumenico è l’opera grandiosa dello Spirito Santo”.
“Saremmo persone di poca fede – aggiunge – se non credessimo che lo Spirito porterà
a compimento ciò che ha cominciato”. Il porporato sottolinea che la testimonianza
cristiana è “la chiave di violino ecumenica” affinché la melodia che unisce ecumenismo
e missione sia armoniosa e sinfonica. La voce cristiana è credibile se i cristiani
sono uniti nel “dare testimonianza della bellezza del Vangelo”. E i testimoni più
credibili – spiega il cardinale Kurt Koch – sono senza dubbio “i martiri che hanno
dato la propria vita in difesa del Vangelo”. Oggi la religione cristiana è la più
perseguitata. Soltanto nel 2008, ricorda il porporato, degli oltre due miliardi di
cristiani nel mondo, 230 milioni sono stati vittime di discriminazioni, soprusi, ostilità
e perfino vere e proprie persecuzioni. L’80 per cento delle persone che vengono perseguitate
a causa della loro fede sono cristiani.
Questo bilancio sconvolgente
– fa notare il cardinale Kurt Koch – rappresenta “una grande sfida per tutte le Chiese,
chiamate a essere realmente solidali”. Il ricordo nella preghiera dei cristiani perseguitati
può approfondire la nostra responsabilità ecumenica, trasformandola in un "ecumenismo
dei martiri". “Dobbiamo vivere nella speranza che il sangue dei martiri del nostro
tempo diventi un giorno seme di unità piena del Corpo di Cristo”. Dobbiamo testimoniare
questa speranza – conclude il porporato – in maniera credibile nell’aiuto efficace
reso ai cristiani perseguitati nel mondo, “denunciando pubblicamente le situazioni
di martirio e impegnandoci insieme a favore del rispetto della libertà di religione
e della dignità umana”.
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
è dunque un tempo scandito dalla riflessione sulle parole pronunciate da Gesù: “Che
siano una sola cosa… perché il mondo creda”. Ma come i cristiani possono raggiungere
la piena unità? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’arcivescovo della diocesi
di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, membro della Commissione Episcopale per
l’ecumenismo e il dialogo e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani:
R. – Noi
dobbiamo invocarla, dobbiamo unirci alla preghiera di Gesù “Che tutti siano uno”,
ma dobbiamo anche chiedere questa unità a Dio perché è Lui soltanto il Signore della
nostra unità. Quest’anno è inoltre molto significativo che il tema sia stato scelto,
e le riflessioni preparate, dalla Chiesa madre di Gerusalemme. Il versetto biblico
indicato è “Uniti nell’insegnamento degli apostoli, nella koinonia – nella
comunione – nello spezzare il pane e nella preghiera”. Ed è il versetto che contiene
le linee portanti su cui costruire l’unità che Cristo vuole per noi.
D.
– Dunque, la Città Santa, oggi purtroppo ancora lacerata da profonde divisioni, è
in realtà la terra dell’unità, della condivisione, la terra di questa promessa…
R.
– Gerusalemme è il punto di incontro tra bellezza, amore, sapienza e dolore. La Chiesa
di Gerusalemme, oggi più che mai, è chiamata ad essere ponte tra i diversi, tra i
divisi, a creare legami di unità: è una sfida molto grande, ma è una sfida alla quale
i cristiani di Terra Santa non possono sottrarsi e i cristiani di tutto il mondo devono
essere loro vicini con la preghiera, la simpatia, la solidarietà, la prossimità.
D.
– Ad alimentare questa preghiera, questa promessa di unità è anche la testimonianza
dei martiri: il loro sangue è destinato a diventare, un giorno, seme di unità…
R.
– La persecuzione contro i cristiani ha prodotto ancora dei martiri, delle vittime.
Pensiamo soltanto all’esempio dei cristiani copti d’Egitto, così gravemente colpiti
in questi recentissimi eventi. Ebbene, il sangue dei martiri è certamente seme: seme
dei cristiani, seme del futuro della Chiesa. Noi, però, dobbiamo anche essere fermamente
impegnati nell’invocare il rispetto della libertà religiosa come condizione di crescita,
di sviluppo delle comunità religiose e del loro rapporto pacifico all’interno delle
nazioni.
D. – Come ha più volte ricordato anche il Papa, per compiere
questo cammino verso l’unità non mancano questioni che separano, che allontanano i
cristiani, ma tutti i cristiani possono annunciare insieme la paternità di Dio e la
vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte…
R. – Annunciare divisi il
Vangelo dell’amore è uno scandalo. I cristiani devono essere testimoni dell’unico
Dio che è amore, dell’unico Dio-Trinità, dell’unico suo Vangelo. La nuova evangelizzazione
esige più che mai uno sforzo di comunione e di unità per presentare a questo mondo
inquieto, deluso dai grandi racconti delle ideologie e bisognoso di senso, il volto
del Dio cristiano come il volto di Dio che è amore e che perciò dà senso, speranza
al cuore degli uomini. (gf)