L'arcivescovo di Tunisi, mons. Lahham: la gente si riappropri della sua dignità
In Tunisia, sembra essere tornata la calma, dopo che ieri il premier, Mohammed Ghannouchi,
ha annunciato la formazione del governo di unità nazionale per traghettare il Paese
verso libere elezioni. La polizia in assetto antisommossa, tuttavia, resta schierata
in alcune zone chiave della capitale, nel timore che esplodano nuove proteste. Intanto,
il principale sindacato ha deciso di negare il suo appoggio al nuovo esecutivo, mentre
tre ministri hanno già rassegnato le dimissioni. In che modo la popolazione ha reagito
a questa decisione? La collega della redazione inglese della nostra emittente, Kealsea
Brennan Wessels, lo ha chiesto all’arcivescovo di Tunisi, mons.Moroun
Elias Nimeh Lahham:
R. – Le reazioni
alla formazione del governo di unità nazionale sono varie. C’è un movimento che accetta
tutto questo, e meno male, perché bisogna che il Paese vada avanti almeno per sei
mesi, fino alle elezioni generali. C’è un’altra parte, però, che rifiuta assolutamente
la partecipazione degli uomini del regime passato al nuovo governo. Adesso, ci sono
delle manifestazioni per le strade di Tunisi di coloro che non accettano la partecipazione
degli uomini dell’Rdc, il partito precedentemente al potere, al nuovo governo. I prossimi
giorni ci diranno quale delle due correnti sarà più forte.
D. – Qual
è l’auspicio della Chiesa cattolica in questo momento così difficile?
R.
– Il desiderio della Chiesa cattolica in Tunisia è che il popolo si riappropri della
sua dignità, della sua libertà, e si avvii verso una società libera, democratica ed
adulta. (ap)
E per una testimonianza su come gli stranieri hanno vissuto
questi giorni di rivolta nel Paese Stefano Leszczynski, ha raggiunto telefonicamente
in Tunisia un imprenditore italiano che preferisce mantenere l’anonimato per ragioni
di sicurezza:
R. - La situazione
è in miglioramento. Questa notte abbiamo sentito molti meno spari: c’era semplicemente
un elicottero che sorvolava la città sopra di noi. Per il momento, il problema maggiore
rimane quello del commercio, perché a causa del coprifuoco si lavora 4-5 ore al giorno
- e non di più - e quindi c’è ancora qualche problema per comprare anche da mangiare.
D.
- Quali sono stati i principali timori che avete avuto quando vi siete trovati in
mezzo a questa rivolta?
R. - Nessuno, nessuno. In quattro giorni però
è successo il finimondo e consideri anche che non si vedevano più poliziotti in giro
finché, poi, è uscito l’esercito… Adesso stiamo a vedere. Speriamo che la situazione
si normalizzi e che soprattutto non ci sia il vuoto di potere, perché di poliziotti
in giro ancora non se ne vedono tanti… Prima eravamo abituati a vedere i poliziotti
ogni cinquecento metri e adesso non si vedono più.
D. - Lei che idea
si è fatto delle ragioni di queste proteste?
R. - Le ragioni? Io penso
che ci sia una volontà di cambiamento. Io spero che si realizzi e che dia stabilità
al Paese.
D. - Si è parlato di “rivolta del pane”: ma era così grave
la situazione?
R. - Per quello che era di mia conoscenza, no. So che
l’80 per cento dei tunisini ha la propria casa: certo, anche qui c’è stato il carovita
e quindi i costi sonoaumentati. Non mi sembrava, però, che fosse in generale una situazione
così grave, anche se per certe famiglie senz’altro lo era. Ma comuqnue, non per la
maggioranza delle famiglie tunisine. Tutti quelli che manifestavano non penso fossero
dei disoccupati.
D. - C’è stato qualcuno che ha manovrato politicamente,
perché tutto questo avvenisse?
R. - Lo penso anche io. Non è che ne
sia certo, ma penso proprio di sì. (mg)