Intervista all’iniziatore del Cammino Neocatecumenale, Kiko Argüello, dopo l’incontro
con il Papa in Vaticano
“Da oltre quarant’anni il Cammino Neocatecumenale contribuisce a ravvivare e consolidare
nelle diocesi e nelle parrocchie l’Iniziazione cristiana”, pertanto la Chiesa lo considera
“un particolare dono suscitato dallo Spirito Santo”. Così il Papa, ricevendo lunedì
in udienza nell’Aula Paolo VI in Vaticano, settemila membri del Cammino Neocatecumenale,
con gli iniziatori Kiko Argüello, Carmen Hernandez insieme a padre Mario Pezzi, per
l’invio di oltre 230 famiglie in 46 Paesi del mondo. Un invio per tredici nuove missio
ad gentes, una forma particolare di presenza missionaria in luoghi in cui la Chiesa
non è presente. Dopo l’udienza, Roberto Piermarini ha chiesto a Kiko Argüello
cosa lo ha colpito di più del discorso del Papa:
R. – Mi ha
colpito la sottolineatura “Andate in tutto il mondo! Andate ad annunciare il Vangelo”:
e quello che ha detto delle communitates in missionem: “Avete lasciato la comodità
della vostra parrocchia per andare ad aiutare parroci in difficoltà”, questo ci consola.
Parroci che hanno diciassette, venti comunità, accettano che tre o quattro comunità
vadano ad aiutare i parroci delle periferie, piene di emigranti, dove incontrano molte
difficoltà pastorali. Noi, quindi, portiamo una comunità cristiana, che li aiuta in
tutti i sensi.
D. – Per la Chiesa, gli “Orientamenti per i catechisti”
sono diventati “Direttorio catechetico”. Che significa per il Cammino Neocatecumenale
questa approvazione?
R. – Siamo sorpresi del fatto che la Chiesa abbia
voluto appoggiarci maggiormente, chiamando gli Orientamenti, “Direttorio”, perché
non solo li ha studiati, ma li ha anche completati. Là dove qualche frase nel testo
non era ben messa, la Santa Sede ci ha detto come formularla e ci ha anche chiesto
di inserire tutti i punti del Catechismo della Chiesa cattolica, che sono più di duemila.
C’è, dunque, una vera formazione dei catechisti. La Chiesa riconosce quello che noi
facciamo per formare un cristiano, lo ritiene valido e dice: “Voi potete formare un
cristiano”. E questa è una cosa meravigliosa.
D. – 230 famiglie inviate
dal Papa in missione nel mondo: qual è la loro missione?
R. – Di ogni
tipo: mostrare la fede, mostrare in loro la vita eterna ma soprattutto portare il
proprio sostegno in zone molto difficili, dove la formazione catechetica della gente
è molto debole e dove anche le comunità che si formano sono molto deboli. Ci sono
delle zone dove non ci sono famiglie tradizionali con un padre ed una madre, ci sono
molte famiglie separate, divise; tanta gente è distrutta e non sa cosa sia una famiglia
cristiana. Noi mostriamo loro cosa sia una famiglia. Per questo molti vogliono diventare
come quella famiglia - i giovani soprattutto - e lì dove arrivano queste famiglie
missionarie molti sentono il desiderio di sposarsi. Si risana così la famiglia nel
mondo, perché la famiglia è la cellula fondamentale per un mondo migliore, di una
società migliore. Distruggere la famiglia è un errore immenso, eppure in tutta Europa
la stanno distruggendo. La prova è che in Scandinavia il 78% delle persone vivono
sole e, alla fine, non convivono con nessuno: c’è un livello di suicidio molto alto,
un alto tasso di alcolismo e una vita dura, vissuta in solitudine.
D.
– Le comunità in missione, che hanno lasciato la propria parrocchia per aiutare parrocchie
in difficoltà, stanno dando i primi frutti?
R. – Sì, e ne sono contentissimo!
Il primo frutto lo ricevono loro. Loro pensavano che sarebbe stato difficile, ma il
successo di questa missione sa qual’è? Come dice San Paolo, “Cristo è morto, perché
l’uomo non viva più per se stesso”. Molti cattolici hanno la tentazione di tornare
a vivere per se stessi, di installarsi; coloro che vanno in missione invece, come
queste famiglie, sono stati inviati e cercano di non vivere più per se stessi: ma
fanno la volontà di un altro! Questo risana le loro radici e li rende più contenti
di prima. (ap)