Incognite sul rientro ad Haiti dell’ex dittatore Duvalier
Restano ancora incognite sul rientro ad Haiti dell’ex dittatore Jean-Claude Duvalier.
Subentrato nel 1971 al padre Francois, Duvalier rimase al potere per 15 anni, per
essere poi deposto da una rivolta popolare. Tornato in patria dopo 25 anni di esilio
in Francia, ha dichiarato di voler "dare un aiuto" al proprio Paese, messo in ginocchio
dal terremoto di un anno fa e dall'epidemia di colera ancora in corso. Gli Stati Uniti
si sono detti ''sorpresi'' dalla notizia. Si può prevedere un tentativo di Duvalier
di riconquistare il potere? Sentiamo Stefano Femminis, direttore del mensile internazionale
dei Gesuiti “Popoli”, intervistato da Giada Aquilino: R – Al momento
direi che sia improbabile, anche se purtroppo la situazione - soprattutto in questo
ultimo anno, dopo il terremoto, ma in generale nella storia del Paese - è talmente
complicata e imprevedibile che è difficile fare ipotesi. Al momento, quello che colpisce
è appunto questo ritorno di Duvalier, proprio quando doveva tenersi il secondo turno
delle elezioni presidenziali e invece è stato rimandato nuovamente perché sono ancora
in corso contestazioni e ulteriori conteggi, rispetto al secondo classificato dopo
Mirlande Manigat. Inizialmente era stato annunciato Jude Celestin e invece sembrerebbe
prevalere, al momento, Michel Martelly. C’è questa confusione istituzionale, che si
aggiunge ad una situazione drammatica, dal punto di vista economico e sanitario: come
sappiamo, oltre al discorso del terremoto, c’è anche l’epidemia di colera non ancora
sconfitta. Quindi, tutto può accadere. Tra l’altro, il primo ministro in carica non
ha trovato scandaloso questo rientro: ha fatto una dichiarazione piuttosto conciliante,
in cui sostanzialmente dice che è un diritto di Duvalier, in quanto cittadino haitiano,
rientrare nel suo Paese. Quindi, bisognerà capire la posizione della classe dirigente
haitiana. D. – Proprio questi ritardi nel processo elettorale e questa confusione
istituzionale possono insieme generare altre tensioni? R. – Già molte tensioni,
con scontri e morti, sono avvenute subito dopo il primo turno delle elezioni presidenziali:
il 28 novembre. Al momento c’è una calma superficiale. Oggi, tra l’altro, è previsto
l’arrivo della presidente dell’Organizzazione degli Stati americani, che ha l’incarico
di monitorare il processo elettorale e le presidenziali. D. – Dalle testimonianze
che avete raccolto, qual è il ruolo della Chiesa in queste ore? R. – La Chiesa
è parte attiva e integrante della società civile haitiana, che è una società civile
ben più viva e dinamica di quello che a volte le cronache ci fanno pensare. Si immagina
spesso Haiti come un Paese totalmente dipendente dall’esterno e totalmente rassegnato
a questa storia fatta di disastri naturali, di corruzione e squilibri politici. Invece,
la società civile haitiana è assolutamente viva, con persone - lo raccontiamo sulla
nostra rivista “Popoli” - che decidono di mettere a disposizione le proprie capacità
e competenze per gli altri. Da questo punto di vista la Chiesa ha fornito immediatamente
un aiuto importante nella prima emergenza e anche adesso cerca, sia in termini di
aiuto materiale, ma pure in termini di coscienza civile, di fare un lavoro molto difficile,
complicato, di ricostruzione anche morale del Paese.(ap)