Ancora caos in Tunisia: attesa per la formazione del nuovo governo
Tunisia ancora nel caos, in attesa che venga varato il governo di unità nazionale.
Unione Europea e Stati Uniti si sono detti pronti a sostenere il processo elettorale,
mentre questa mattina momenti di tensione si sono vissuti nella capitale, Tunisi,
dove una manifestazione contro il presidente Ben Alì è stata dispersa dalla polizia
con lacrimogeni e getti d’acqua. Si sono conclusi in piena notte, invece, gli scontri
intorno al palazzo presidenziale di Cartagine, fra l'esercito e le milizie che facevano
capo all'ex consigliere per la sicurezza Ali Seriati. Diverse le versioni sull’accaduto.
Il collega Stefano Vergine, da Tunisi, ci racconta le ultime ore in città,
dov’è tornata la calma:
Molti negozi
hanno riaperto, qualche bar inizia a sistemare i tavolini nell’Avenue Habib Bourguiba,
proprio davanti al Ministero degli interni, dove ieri si è combattuta una battaglia
molto violenta, forse l’ultima tra i militari dell’esercito e i miliziani fedeli all’ex
presidente Ben Ali. C’è il pane e c’è la benzina per le strade della capitale e si
torna a respirare un’atmosfera di tranquillità. A Cartagine, vicino agli scavi dell’antica
città, ci sono ancora carri armati e blindati dell’esercito. Ieri, si parlava di una
battaglia tra le guardie dell’ex presidente Ben Ali e i militari. I militari dicono
però che non c’è stata alcuna battaglia ieri, ma ci sono stati solamente alcuni colpi
sparati da una macchina fuori dalla caserma del centro d’addestramento delle guardie
presidenziali, però tutto è finito. Oggi, è soprattutto il giorno del nuovo governo
e dovrebbero essere annunciati i nomi delle persone che entreranno a far parte dell’esecutivo
di Unità Nazionale, che avrà il compito di traghettare il Paese per i prossimi due
mesi, quando si terranno le elezioni. Sarà importante capire chi verrà coinvolto,
bisognerà capire quali membri dell’opposizione entreranno a far parte e quante facce
del vecchio regime. (ma)
Le proteste che stanno mettendo a ferro e fuoco
la Tunisia si stanno estendendo a macchia d’olio ad altri Paesi. Manifestazioni contro
il caro-prezzi si sono svolte in contemporanea in Algeria, poi in Sudan, ed anche
in Giordania ed Egitto. Molti economisti hanno l’impressione che anche in questi Paesi
sia arrivata l’onda lunga della crisi economica internazionale, causando l’aumento
dei prezzi dei generi di prima necessità, a fronte di un non adeguamento dei salari.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con l'economista Riccardo Moro, direttore
della Fondazione "Giustizia e Solidarietà":
R. - La
crisi economica non favorisce la capacità di spesa nel momento in cui abbiamo anche
un aumento dei prezzi. Sono state o mantenute o aumentate delle tassazioni locali
sui prodotti alimentari, ma in modo particolare le origini della protesta sono fondamentalmente
delle origini politiche nazionali di forte contestazione a questa sostanziale dittatura,
che era in essere sotto la guida di Ben Ali che ha occupato il Paese in questi vent’anni,
non solo politicamente, ma anche economicamente.
D. - La Tunisia è un
Paese che ha da sempre avuto legami strettissimi con l’Europa. Quanto questa vicinanza
e la conoscenza che il popolo tunisino ha di livelli di vita occidentali, può avere
influito su questa protesta, secondo lei?
R. - Credo che questo abbia
certamente influito. La Tunisia è vicinissima a noi, anche all’Italia e credo che
il confronto con i livelli economici, ma anche con gli standard politici di molti
Paesi europei abbia certamente contato.
D. - Molti osservatori parlano
di una comunità internazionale piuttosto debole nei confronti di questa situazione.
Perché secondo lei, perché ci sono stati molti investimenti in Tunisia da parte dei
Paesi occidentali?
R. - Io credo che da un lato ci siano sicuramente
molti coinvolgimenti; per certi aspetti ha colpito il silenzio nei confronti di Ben
Ali, che per molti anni è stato considerato un amico di molti e che oggi più nessuno
ricorda nemmeno di aver conosciuto. Credo, inoltre, che ci siano difficoltà ad intervenire,
anche perché è molto difficile. Si teme il contagio, ma il contagio che cosa significa?
Forse, se c’è un Paese, dove il contagio può avvenire, questo è la Libia, non l’Algeria.
Un elemento, che è certamente interessante, è che non sembra esservi alcun ruolo dei
leader fondamentalisti in questa protesta, anzi sembra che siano stati messi proprio
ai margini; credo che l’Europa stia un po’ a vedere, sperando che emergano le forze
democratiche che esistono.
D. - Ora gli investitori che siano inglesi,
italiani o francesi, chiedono aiuto ai singoli Stati, che cosa avverrà da questo punto
di vista?
R. - Non è estremamente difficile ripartire con dei colloqui
che vedano delle partnership internazionali. Le partnership internazionali, obbiettivamente,
esistevano prima, il difetto fondamentale è che il beneficio di queste intese dal
lato tunisino andava in poche, pochissime mani, nelle mani di un’elite; nel momento
in cui dalla parte tunisina esista un Governo con una maggior capacità di rappresentanza,
io non vedo onestamente significative difficoltà a riprendere delle cooperazioni che
vedano una performance economica tunisina anche positiva. (ma)