Ancora tensione in Tunisia dopo i disordini di ieri. La scorsa notte, nonostante il
coprifuoco, ci sono stati saccheggi e alcuni episodi di violenza con un numero di
vittime difficile da confermare. A livello politico proseguono le consultazioni in
vista della formazione di un nuovo esecutivo, mentre oggi è stata indetta una nuova
manifestazione di piazza a Tunisi per chiedere lo scioglimento del partito al potere
dell’ex presidente Ben Ali, fuggito venerdì in Arabia Saudita. Il servizio di Eugenio
Bonanata:
Le
agenzie internazionali segnalano la ripresa di scontri nel centro di Tunisi. Uomini
armati hanno aperto il fuoco provocando la morte di almeno una persona. Alcune unità
dell’esercito hanno circondato la sede del Ministero dell’interno, mentre l’ex titolare
del dicastero è stato arrestato per aver dato l’ordine di sparare contro i manifestanti
nei giorni scorsi. Per gli stessi motivi l’ex capo della sicurezza, già arrestato,
sarà processato per incitamento alla violenza e minaccia alla sicurezza nazionale.
Secondo l’emittente televisiva araba al-Jazeera sono tre mila i poliziotti arrestati
fino ad ora per la loro vicinanza alla deposta leadership. Ci sarebbero loro dietro
i numerosi saccheggi ai danni di negozi e di abitazioni civili, avvenuti la notte
scorsa a causa della penuria di cibo che comincia a farsi sentire in città e nonostante
il coprifuoco. Coprifuoco, che, a partire da oggi, sarà ridotto di un’ora. Lo hanno
deciso le autorità a fronte di quello che considerano “il miglioramento della situazione”,
pur lasciando inalterate le altre misure di sicurezza come il divieto di assembramenti
per le strade. Sempre nella notte è avvenuta l’uccisione di un parente dell’ex presidente,
mentre in un ospedale di Tunisi è deceduto il fotografo francese colpito da un lacrimogeno
durante le dimostrazioni di venerdì. Folla, intanto, negli aeroporti: numerose, infatti,
le persone che attendono di lasciare il Paese con i primi voli dopo la revoca del
blocco dello spazio aereo. A livello politico il neo premier incaricato Ghannnouci
prosegue i colloqui con le forze di opposizione in vista della creazione di un governo
di unità nazionale. L’obiettivo è anche quello di indire nuove elezioni, che, secondo
le prime dichiarazioni, potrebbero svolgersi nel giro di una sessantina di giorni.
Questo lo scenario caldeggiato dalla Comunità internazionale, mentre oggi l’Iran ha
messo in guardia la Tunisia dalle ingerenze di Unione Europea e Stati Uniti. Ieri,
invece, ad esprimere appoggio al presidente deposto Ben Ali è stato il leader libico
Gheddafi.
Sulla situazione politica in Tunisia e sul ruolo dei partiti
di opposizione in questo momento di transizione, abbiamo intervistato Domenico
Quirico, esperto di questioni africane per il quotidiano "La Stampa", raggiunto
telefonicamente a Tunisi:
R. – I
cosiddetti partiti di opposizione che erano presenti, legalizzati e consentiti in
questo Paese negli ultimi 20 anni, non rappresentano nulla. E non rappresentano nulla
perché erano delle formazioni – diciamo – “fantoccio”, al servizio – pagate e stipendiate
- dal regime di Ben Alì. Un governo di unità nazionale con queste forze e con queste
sigle, che sono assolutamente vuote e fatte di personaggi largamente frammisti a quello
che il regime faceva, non ha senso. Le forze di opposizione vere esistono, ma sono
in esilio o si tratta di gente che è stata in carcere: nessuno li conosce, perché
sui giornali nessuno ovviamente parlava di loro, se non come banditi, fuggiaschi o
peggio; non hanno soldi, non hanno strutture. L’organizzazione di un governo di unità
nazionale con quello che c’è qui oggi, non dà alcuna garanzia.
D. –
Si parla del possibile ritorno sulla scena politica di forze islamiche e in qualche
modo estremiste: in questo quadro è possibile confermare questo timore?
R.
– Se le cose non verranno organizzate rapidamente e se non si daranno dei segni tangibili
alla gente che è andata in strada, che si è fatta ammazzare in questi giorni, il movimento
islamico potrebbe seguire il modello algerino e potrebbe diventare veramente una forza
predominante. Il pericolo islamista in questo Paese non esiste e non esiste non perché
Ben Alì li ha massacrati, ma perché semplicemente l’islamismo locale era molto laicizzato
e largamente minoritario. Diciamo che in una previsione assai, assai pessimistica
in caso di elezioni vere, potrebbe totalizzare al massimo un 20 per cento: la percentuale
di un partito islamico. Però – ripeto – nella delusione che può venire dopo aver cacciato
Ben Alì, gli islamisti potrebbero trovare uno spazio assai più largo.
D.
– Il processo rivoluzionario in Tunisia è cominciato da un giovane disoccupato che
si è dato fuoco: cosa dire della giovane generazione, del suo rapporto con Internet
e del suo livello di istruzione?
R. – Questa è una rivoluzione che è
stata fatto solo dai giovani. In una certa misura il regime passato ha pagato l’unica
cosa buona che ha fatto: aver assicurato una scolarizzazione di massa e aver spinto
le famiglie e i giovani stessi a vedere nella laurea il segno del loro successo sociale.
Successo sociale che poi, però, non si traduceva in posti di lavoro! L’impressione
è che adesso ci sia una nuova leva giovanile, che si è impadronita del movimento e
che è molto più arrabbiata di quella che lo ha iniziato, perché vuole tutto e subito.
Se non la si accontenta subito, se non le si danno dei segni concreti che qualcosa
è cambiato, allora prenderà altre vie, che sono quelle della violenza, dell’anarchia
e – forse – dell’islamismo. (mg)