Tunisia ad alta tensione nonostante le promesse di Ben Ali
L'intervento televisivo di ieri del presidente Ben Ali non è riuscito a riportare
la calma in Tunisia. Una grande manifestazione di protesta - con almeno cinquemila
persone - è in corso nella capitale, all'indomani delle parole con cui il presidente
aveva cercato di fermare la rivolta annunciando che non si ricandiderà alle elezioni
del 2014. Il punto della situazione nel servizio di Marco Guerra:
“Faremo un
sit-in fino alla caduta di Ben Ali”: non si placa la rabbia dei manifestanti all’indomani
del discorso televisivo del capo dello Stato. Tunisi in queste ore è teatro della
prima grande dimostrazione dope le rivolte del 1984. Migliaia di persone hanno sfilato
dalla sede del sindacato Ugtt verso il Ministero dell'interno, dove è stato raggiunto
dal corteo degli avvocati e tante gente comune. Nel prime ore del pomeriggio oltre
5000 persone erano ancora ferme davanti a quello che è stato soprannominato il “Ministero
del terrore”. La marcia, che inizialmente contava poche decine di persone, si è presto
gonfiata nonostante la massiccia presenza di poliziotti che non sono mai intervenuti
per fermarla. Il clima è pacifico e quasi festoso. La gente cerca i giornalisti per
esprimere il proprio malcontento. Intanto, secondo testimonianze, scontri sono avvenuti
tra opposte fazioni in una località a nord della capitale. L’annuncio della non ricandidatura
nel 2014, l’ordine di non sparare sui manifestanti e le aperture sulla libertà di
stampa, l’accesso a Internet e la promessa della riduzione dei prezzi di generi come
pane e zucchero non sono bastati al presidente Ben Ali per placare gli animi di una
nazione esasperata. Per uscire da questa fase di stallo, si cerca anche una soluzione
politica. Il ministro degli Esteri, Morjane, non ha escluso la formazione di un governo
di unità nazionale, chiamando in causa il leader del Partito democratico progressista,
formazione dell'opposizione legale, ma non rappresentata in parlamento.
L'intervento
televisivo di ieri del presidente Ben Ali non è dunque riuscito ad abbassare la tensione
nel Paese. Giada Aquilino ha sentito l'opinione dell’inviato speciale del Corriere
della Sera, Lorenzo Cremonesi, raggiunto telefonicamente a Tunisi:
R. - A giudicare
dalle reazioni di piazza di questa mattina, direi che non si sono fermate le manifestazioni.
Ieri il discorso sembrava aver soddisfatto - anche se in parte - le richieste dei
manifestanti e per due ragioni principali. La prima: Ben Alì ha promesso di non ricandidarsi
alle elezioni presidenziali del 2014. La seconda: l’assicurazione che la polizia non
userà violenza e non sparerà contro i manifestanti. In realtà, questa mattina - già
verso le 9.30 - ci sono stati grossi assembramenti in tutte le principali città del
Paese, così come a Tunisi, dove lo sciopero previsto per oggi è stato mantenuto. La
gente dice che Ben Alì non la soddisfa più, che la polizia ha sparato e deve ora pagare
per i crimini che ha commesso e che, soprattutto, Ben Alì deve andarsene e deve lasciare
subito l’incarico: chiede, quindi, le dimissioni del presidente e le elezioni subito.
D.
- Ben Alì potrebbe davvero lasciare il potere dopo oltre vent’anni?
R.
– La situazione sta veramente cambiando. Non dimentichiamo che Ben Alì, tre giorni
fa, ha fatto un discorso molto duro: ha chiamato i manifestanti “terroristi” e ha
criminalizzato l’intero movimento di protesta, pur facendo delle vaghe promesse di
apertura. Ieri, era già tutto cambiato.
D. – Ma potrebbe esserci il
rischio che poi si apra una lotta di potere per la successione al presidente?
R.
– Questo è il problema. Chi, quali forze, in quale modo lo sostituiranno è tutto da
vedere, è tutto aperto. Non c’è una vera dinamica che conduca a una successione democratica.
Per ora le cose sono in mano alla piazza e non dimentichiamo che la cosa è nata in
modo molto spontaneo. La situazione è in totale evoluzione e non si possono fare grandi
previsioni.
D. – Le manifestazioni contro il carovita, dalla Tunisia
all’Algeria, si estendono ora anche alla Giordania e al Sudan, soprattutto in aree
molto depresse. Che segnale è? R. – C’è stato uno svolgersi speculare degli
avvenimenti in Algeria e in Tunisia. Anche se in Algeria sembra che la situazione
sia stata controllata più rapidamente, però è un Paese molto più ricco. In Tunisia
non c’è reddito, anche se c’è il turismo: le risorse naturali sono nulle e, quindi,
il Paese è molto più povero. Però la Tunisia non è fondamentalista: questo è un Paese
profondamente laico, dove l’uguaglianza tra uomo e donna è assolutamente una realtà.
La vera minaccia è che, davanti al vuoto di potere, i fondamentalisti potrebbero prendere
piede. (bf)