Crisi di governo in Libano. Mons. Béchara Raï: bisogna guardare all'interesse comune
del Paese
''Mantenere la calma'' e continuare il dialogo in tutto il Libano. Questa l’esortazione
del segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, dopo le dimissioni dal governo di Beirut
di dieci ministri Hezbollah e di uno indipendente, che hanno così decretato la fine
del governo di unità nazionale del premier, Saad Hariri. Il primo ministro rimane
ora in carica per il disbrigo degli affari correnti, dopo un colloquio col presidente,
Michel Suleiman. Da mesi il movimento Hezbollah chiedeva all’esecutivo di interrompere
ogni collaborazione con il Tribunale internazionale per il Libano, che indaga sull'omicidio
dell'ex premier Rafik Hariri, padre di Saad. Il segretario della Lega araba, Amr Moussa,
si è detto "turbato" per la caduta del governo libanese e ha invitato Hezbollah ad
accettare il lavoro dell’Alta corte internazionale, affermando che la giustizia deve
"avere il suo corso" e "i criminali" devono essere puniti. Ma perché il pronunciamento
del Tribunale, previsto per le prossime settimane, può creare tali tensioni? Giada
Aquilino ne ha parlato con mons. Béchara Raï, vescovo di Byblos dei maroniti
e presidente della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale
libanese:
R. - Non
si tratta di un giudizio finale, ma di un decreto di accusa per poter iniziare i lavori
del Tribunale stesso. Non c’è alcuna giustificazione, quindi, per questa crisi e non
c’è alcuna intenzione di legare la questione del Tribunale internazionale alle questioni
interne. Gli Hezbollah dicono di rigettiare la legittimità del Tribunale internazionale
per due motivi: perché a detta loro è un Tribunale politicizzato e perché - sostengono
- ci sono falsi testimoni. Ma nessuno dice chi sono questi falsi testimoni. Lo scopo
finale è quello di eliminare il Tribunale internazionale, ma nessuno può farlo.
D.
- Nella crisi libanese sono entrati Paesi stranieri, come la Siria e l’Arabia Saudita,
che hanno tentato una mediazione nei giorni scorsi per superare l’impasse.
Perché ritornano questi Paesi nella vita politica e sociale del Libano?
R.
- Tutta la crisi politica libanese è legata a una crisi regionale, nazionale ed internazionale
che riguarda il conflitto tra sunniti e sciiti: tra Paesi sunniti - come l’Arabia
Saudita e l’Egitto che collaborano, fra l’altro, con gli Stati Uniti - e Paesi sciiti,
capeggiati dall’Iran e dalla Siria. La questione del Tribunale non riguarda soltanto
l’assassinio di Hairiri, perché sono almeno 27 le personalità politiche che negli
ultimi 25 anni sono state assassinate e nessuno sa ancora chi lo ha fatto. Il grande
problema è questo: c’è una sorta di eliminazione reciproca, a livello politico, tra
sunniti e sciiti e chi ci va di mezzo è il Libano, con le sue istituzioni e il suo
popolo.
D. - In queste ore, quale può essere l’impegno della Chiesa
per il futuro del Libano?
R. - Dobbiamo sempre richiamare i libanesi
a guardare all’interesse comune, a guardare all’interesse del loro Paese, ad essere
al di sopra delle fazioni e ad essere al di sopra degli interessi confessionali e
personali. Altrimenti, le cose non funzioneranno mai.(mg)