La pace autentica passa attraverso il rispetto della libertà religiosa: così il Papa
al Corpo Diplomatico
“Esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria,
ad intraprendere con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che
passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione”:
è il nuovo appello lanciato da Benedetto XVI oggi durante il tradizionale incontro
d’inizio anno con i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Di seguito il testo integrale del discorso del Papa:
Eccellenze, Signore
e Signori,
Sono lieto di accogliervi per questo incontro che, ogni anno,
vi riunisce intorno al Successore di Pietro, illustri Rappresentanti di così numerosi
Paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre un’immagine e al tempo stesso
un esempio del ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale.
Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui
per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali,
nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività, quelle della
Curia Romana e, così, in un certo modo, la vita della Chiesa cattolica in ogni parte
del mondo. Il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è fatto
interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli auguri che mi ha espresso
a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente
oggi nel vostro pensiero l’Ambasciatrice del Regno dei Paesi Bassi, la Baronessa van
Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella
preghiera ai vostri sentimenti di commozione.
Quando inizia un nuovo
anno, nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio
che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia
la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini
di allora come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la buona notizia
dell’avvento del Salvatore: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande
luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Il Mistero
del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana.
Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica
e completa al desiderio profondo del cuore. La verità, il bene, la felicità, la vita
in pienezza, che ogni uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli sono donati
da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni persona è alla ricerca del suo Creatore,
perché “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo” (Esort. ap. postsinodale
Verbum Domini, 23). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso le sue credenze
e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e “tali forme d’espressione
sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso” (Catechismo
della Chiesa Cattolica, 28). La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile
e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del
suo destino e della costruzione della comunità a cui appartiene. Pertanto, quando
l’individuo stesso o coloro che lo circondano trascurano o negano questo aspetto fondamentale,
si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su
quello interpersonale.
E’ in questa verità primaria e fondamentale che
si trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa come la via fondamentale
per la costruzione della pace, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale
della Pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente
quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita
e nelle sue relazioni con gli altri.
Signore e Signori Ambasciatori,
la vostra presenza in questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro di
orizzonte su tutti i Paesi che voi rappresentate e sul mondo intero. In questo panorama,
non vi sono forse numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla libertà
religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo, che in realtà è il primo dei
diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come
oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore,
non è forse troppo spesso messo in discussione o violato? Mi sembra che la società,
i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche
se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la
libertà dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese, ad attirare l’attenzione
di tutti.
L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno scorso,
a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito e in Spagna. Al di là delle caratteristiche
di questi Paesi, conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza
che mi hanno riservato. L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi,
che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un momento di preghiera
e di riflessione, durante il quale il pensiero si è rivolto con insistenza verso le
comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa della loro adesione
a Cristo e alla Chiesa.
Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati
che hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani dell’Iraq, al punto
da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci
hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle Autorità di quel Paese e ai capi religiosi
musulmani il mio preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani
possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società
di cui sono membri a pieno titolo. Anche in Egitto, ad Alessandria, il terrorismo
ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di
attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di
adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle
minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una volta? In Medio Oriente, “i cristiani
sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro
doveri nazionali. E’ naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza,
di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione
e nell’uso dei mezzi di comunicazione” (Messaggio al Popolo di Dio dell’Assemblea
Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 10). A tale riguardo, apprezzo
l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno
dato prova alcuni Paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata
dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente. Vorrei ricordare
infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente
la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare
la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi
che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino
al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli Stati della
Penisola Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che
la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali.
Tra
le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione
particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio
di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla,
tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze
contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra
quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove
la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione. Altre situazioni preoccupanti,
talvolta con atti di violenza, possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-Est del
continente asiatico, in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali
pacifici. Il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe
mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati
nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi.
A questo proposito, è importante che il dialogo inter-religioso favorisca un impegno
comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità.
Infine, come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non risparmia l’Africa.
Gli attacchi contro luoghi di culto in Nigeria, proprio mentre si celebrava la Nascita
di Cristo, ne sono un’altra triste testimonianza.
In diversi Paesi,
d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la
vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr Conc.
Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si
ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non
dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità,
in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla
loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche
la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in
conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo.
In
questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo verso la comunità cattolica della
Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova.
D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di incoraggiamento alle Autorità di Cuba,
Paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte
con la Santa Sede, affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa
si rafforzi ulteriormente e si allarghi.
Spostando il nostro sguardo
dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro
il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali
si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione
subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione,
come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante,
e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva
così a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza
riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione
con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto
all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto.
In
tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa,
nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale
medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il
diritto alla vita, come l’aborto.
Un’altra manifestazione dell’emarginazione
della religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita
pubblica feste e simboli religiosi, in nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono
ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo così, non soltanto si limita
il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche
radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose
nazioni. L’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono associati al ricorso del Governo
italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi
pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle Autorità di queste nazioni, come
pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, Episcopati, Organizzazioni
e Associazioni civili o religiose, in particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri
rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone - credenti ma anche
non credenti - che hanno tenuto a manifestare il loro attaccamento a questo simbolo
portatore di valori universali.
Riconoscere la libertà religiosa significa,
inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società,
con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo,
d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi
campi. E’ preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta
la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso
o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale
in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina.
Mentre parecchi di essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione
propizia per ricordarsi del contributo della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità
nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il
diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si
ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta.
Proseguendo
la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà
religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione
a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e
della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria
alla fede e alla retta ragione.
Signore e Signori Ambasciatori,
in
questa circostanza solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui la Santa
Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella sua attività presso le Organizzazioni
Internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della libertà
religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta
di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento
è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono
considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione
pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni
vogliono instaurare tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo,
dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa
nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora
sono i tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa, dei pretesi nuovi diritti,
attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni
nazionali o nelle direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che l’espressione
di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana.
Infine, occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non
è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione
e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni
di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che
desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.
La promozione
di una piena libertà religiosa delle comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue
la Santa Sede quando conclude Concordati o altri Accordi. Mi rallegro che Stati di
diverse regioni del mondo e di diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche
scelgano il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare i rapporti tra
la comunità politica e la Chiesa cattolica, stabilendo attraverso il dialogo il quadro
di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno scorso è stato
concluso ed è entrato in vigore un Accordo per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici
delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in corso in
diversi Paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose
della natura e della libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.
L’attività
dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente
al servizio della libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le Autorità
vietnamite hanno accettato che io designi un Rappresentante, che esprimerà con le
sue visite alla cara comunità cattolica di quel Paese la sollecitudine del Successore
di Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno passato, la rete diplomatica
della Santa Sede si è ulteriormente consolidata in Africa, una presenza stabile è
ormai assicurata in tre Paesi dove il Nunzio non è residente. A Dio piacendo, mi recherò
ancora in quel continente, in Benin, nel novembre prossimo, per consegnare l’Esortazione
Apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della Seconda Assemblea Speciale per
l’Africa del Sinodo dei Vescovi.
Dinanzi a questo illustre uditorio,
vorrei infine ribadire con forza che la religione non costituisce per la società un
problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto. Vorrei ripetere che la Chiesa
non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma
semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere
la grande lezione della storia: “Come negare il contributo delle grandi religioni
del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un
maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio
di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone
e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni
democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.
Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non
solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza
della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante
impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento
delle realtà umane” (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace,
1 gennaio 2011, 7).
Emblematica, a questo proposito, è la figura della
Beata Madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua nascita è stato celebrato
a Tirana, a Skopje e a Pristina come in India; un vibrante omaggio le è stato reso
non soltanto dalla Chiesa, ma anche da Autorità civili e capi religiosi, senza contare
le persone di tutte le confessioni. Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno
che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.
Che nessuna
società umana si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono
le persone e le comunità religiose! Come ricordava il Concilio Vaticano II, assicurando
pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa, la società potrà “godere dei beni
di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua
santa volontà” (Dich. Dignitatis humanae, 6).
Ecco perché, mentre formulo
voti affinché questo nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso, esorto
tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria, ad intraprendere
con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso
il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione.
Su
questo impegno, per la cui attuazione è necessario lo sforzo dell’intera famiglia
umana, invoco la Benedizione di Dio Onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione
con Lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nostra pace (cfr Ef 2,14).