Continua il dramma dei migranti prigionieri nel Sinai
Peggiora di ora in ora la situazione dei migranti che ancora si trovano nelle mani
dei trafficanti nel nord del Sinai. Le associazioni continuano a lanciare i loro appelli
affinché la comunità internazionale, soprattutto l’Ue, intervenga per salvare queste
persone. Ad oggi, si sa che un gruppo di 250 è stato diviso in due. Una parte si trova
nei pressi di Rafah, di un altro centinaio circa non si sa più nulla. Ad essere rilasciati
soltanto coloro per i quali i familiari hanno pagato il riscatto, alcuni sono ora
in campi profughi in Israele, per altri invece, una volta liberati, sono scattate
le manette della polizia di confine egiziana. Finora otto gli eritrei uccisi, mentre
a quattro sono stati asportati i reni destinati al traffico di organi. Don Mussai
Zerai, direttore dell’agenzia Habeshia, riesce a parlare via telefono con i prigionieri
quasi ogni giorno. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – I ragazzi
che sono ancora nelle mani dei trafficanti mi chiedevano: “Ma perché non si sta facendo
nulla per liberarci? Perché nessuno interviene?”. Quelli che sono stati rilasciati
fino ad oggi sono liberi perché i loro familiari hanno pagato il riscatto, altrimenti
nessuno viene liberato. Questo preoccupa soprattutto coloro che non hanno nessun parente
in grado di pagare il riscatto. Si profila che queste persone o verranno vendute ad
altri gruppi di trafficanti, o altrimenti saranno costretti a dover cedere un organo
come forma di pagamento del riscatto.
D. – Don Zerai, lei accennava
ai ragazzi che sono stati liberati. saranno, però, consegnati dalle autorità egiziane
alle ambasciate dei Paesi di provenienza, e sappiamo che sono persone che dovrebbero
godere dello status di rifugiato. Cosa ne sarà di questi ragazzi? Perché il Cairo
li riconsegna alle ambasciate?
R. – Nel nostro colloquio con l’ambasciata
egiziana presso la Santa Sede avevamo chiesto, man mano che queste persone venivano
liberate dai trafficanti, che fossero consegnate all’ufficio dell’Unhcr al Cairo,
non che fossero incarcerati o addirittura deportati verso il loro Paese d’origine.
Ricordiamo, tra l’altro, che l’Egitto è firmatario della Convenzione di Ginevra sui
rifugiati. La preoccupazione che invece aveva espresso anche l’ambasciata egiziana
era in merito a chi avrebbe gestito queste persone dopo la loro liberazione. Infatti,
da quello che ci hanno fatto capire, l’Egitto non sembra voler prendersi in carico
anche l’eventuale accoglienza e garantire protezione. Se c’è questa situazione, bisogna
ricordare che essa è frutto anche della chiusura, dei respingimenti che vengono attuati
dalla politica di immigrazione a livello europeo.
D. – Parlando con
loro, ha avuto ancora notizie di torture e di violenze su queste persone?
R.
– Sì, perché i ragazzi mi dicevano proprio due giorni fa: non ce la facciamo più!
Qui veniamo continuamente picchiati. Il nostro corpo è disseminato di lividi … Adesso
vengono picchiati addirittura con le catene o con i bastoni di ferro, soprattutto
quelli che non hanno nessuno …
D. – Piano piano, queste persone vengono
separate, vengono formati diversi gruppi …
R. – Sì. Intanto, bisogna
ricordare che a metà dicembre sono stati letteralmente fatti sparire 100 dei 250 eritrei,
non sappiamo dove siano, nelle mani di chi siano finiti. Ci dicono anche che esisterebbero
dei container sotterranei nei quali vengono tenuti prigionieri. Invece, di questi
altri 150, alcuni – circa 40 persone – sono stati liberati perché hanno pagato, e
di questi alcuni sono finiti nelle mani delle autorità egiziane, mentre altre 16 persone
si trovano attualmente in un campo profughi in Israele. Gli altri sono stati separati
tra chi riceve aiuti da fuori e chi non ha proprio nessuno.
D. – Don
Zerai, ormai è più di un mese che voi state lanciando appelli …
R. –
No per questo abbiamo insistito ed abbiamo sollecitato anche le autorità israeliane
e quelle palestinesi, perché tutto questo succede anche vicino alla Striscia di Gaza.
Di fronte a questa emergenza umanitaria si sarebbero potuti superare certi aspetti,
facendo fronte comune … Ma soprattutto, io chiedo alla Comunità europea di intervenire
non solo con un richiamo generico, come è stato fatto con la Risoluzione votata dal
Parlamento europeo, ma prendendo un impegno, offrendo un percorso legale e protetto
di ingresso dei richiedenti asilo politico. (gf)