Scissione della Fiat, debutto in Borsa. Attesa per il referendum allo stabilimento
di Mirafiori
Nessun investimento sarà possibile per la Fiat a Mirafiori se vincerà il no al referendum
sull’accordo per rilanciare lo stabilimento. E’ quanto ha detto questa mattina l’amministratore
delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, in occasione del debutto in Borsa di Fiat
Auto e Fiat Industrial, dopo la scissione delle attività nell’azienda automobilistica
italiana, decisa a Torino nelle scorse settimane. Il servizio di Giampiero Guadagni.
Primo giorno
a Piazza Affari per la doppia Fiat, il gruppo auto e il gruppo industriale, formati
rispettivamente da 18 e 6 mila dipendenti. “Dobbiamo valorizzare tutte le nostre attività”,
ha spiegato l’amministratore delegato Marchionne per il quale di fronte alle grandi
trasformazioni in atto nel mercato era impossibile tenere insieme settori che non
hanno in comune alcuna caratteristica economica industriale. Frenata, invece, sull’annunciata
uscita di Fiat da Confindustria giudicata possibile ma non probabile. Ma il debutto
in Borsa è stata anche l’occasione per fare il punto sulla vicenda Mirafiori, la condizione
dell’accordo e la governabilità dello stabilimento. “Dunque - avverte Marchionne -
se al referendum dei lavoratori vince il no, la Fiat non farà investimenti”. Aggiunge
il manager del Lingotto: “Non abbiamo lasciato nessuno fuori dall’intesa ma noi siamo
in grado di produrre vetture con o senza la Fiom”. I metalmeccanici della Cgil non
hanno, infatti, firmato né l’accordo per Mirafiori, né quello per Pomigliano e hanno
indetto uno sciopero generale della categoria per il 28 gennaio. In vista del referendum,
che si svolgerà entro metà mese, Cisl e Uil chiedono alla Fiom di tornare sui propri
passi. A tentare una mediazione il nuovo segretario della Cgil, Susanna Camusso.(bf)
I
nuovi accordi Fiat rappresentano una svolta nel rapporto impresa-sindacati in Italia.
L’intesa sul nuovo contratto dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano salva
il posto di lavoro a 4.600 persone in una realtà difficile del Sud, ma le condizioni
non sono più quelle di un tempo. Adesso si attende il referendum a Mirafiori. Fabio
Colagrande ha sentito il parere del prof. Luigino Bruni, docente di economia
politica all’Università Bicocca di Milano e all'Istituto universitario Sophia del
Movimento dei Focolari:
R. - Certamente
Marchionne sta portando nelle relazioni industriali uno stile che è più anglosassone
e, quindi, un po’ lontano dalla trazione italiana, che era più centrata sulla contrattazione
collettiva, con un maggior ruolo assegnato ai tavoli, alle lunghe trattative ed anche
alla mediazione politica dei partiti. Marchionne porta uno stile diverso, fatto di
luci ed ombre.
D. - Partiamo dai punti di condivisione?
R.
- Il primo punto di condivisione è che il mondo è cambiato: dobbiamo renderci conto
che tutta la generazione dei diritti dei lavoratori è il frutto delle prime grandi
battaglie della prima Rivoluzione Industriale, fra l’800 e il ‘900. In un mondo come
quello di oggi, dove le imprese di fatto si spostano in tutto il mondo e vanno a produrre
dove costa meno, non è possibile continuare a pensare ai rapporti sindacali come li
immaginavamo semplicemente 30 o 40 anni fa. Occorre veramente un nuovo patto sociale.
Quindi Marchionne denuncia un problema: o si cambia o si va a fondo tutti! Sono anche
d’accordo nel dire che non solo deve cambiare la Fiat ed aprire a delle modalità nuove
nei rapporti di lavoro, ma deve anche cambiare il sindacato in un approccio meno ideologico
e più concreto e più realistico ai rapporti di lavoro.
D. - E’ d’accordo
con chi dice che c’è una cultura, soprattutto della sinistra in Italia, che fatica
ad adeguarsi ad una nuova economica globalizzata?
R. - Fa fatica anche
perché il processo è contraddittorio e qui ci sono dei punti di disaccordo con Marchionne.
C’è bisogno - e lui stesso lo dice - di un nuovo patto sociale: benissimo, però occorre
anche che il patto sociale sia un patto veramente di reciprocità. Finché la Fiat continua
a muoversi in un’ottica di grande capitale, con stipendi a manager - compreso Marchionne
- di milioni di euro e che sono centinaia di volte maggiori degli stipendi degli operai,
i discorsi sul nuovo patto sociale, sono discorsi un po’ astratti. Ci vorrebbero dei
segnali di una nuova stagione contrattuale, dove l’impresa si legga veramente come
un gioco cooperativo, che coinvolga tutte le parti e dove ci si metta tutti in gioco:
i sindacati devono cambiare, ma devono cambiare anche i modi di concepire i rapporti
industriali.
D. - Nell’intesa per Pomigliano, così come per Mirafiori,
c’è un peggioramento delle condizioni di lavoro degli operai e della funzione di diritto
del sindacato?
R. - Un po’ c’è ed è ovvio con tutte queste richieste:
una maggior flessibilità; la battaglia nei confronti dell’assenteismo e, quindi, se
si supera una certa percentuale di assenteismo, la prima giornata di malattia non
viene pagata; una richiesta di maggiori ore di straordinario da contratto - vanno
nella direzione dell’impresa postmoderna che richiede velocità, flessibilità e che
nei momenti importanti ha bisogno che non vi siano scioperi che blocchino tutta la
catena produttiva. Questo è importante, ma noi sappiamo anche che non si può gestire
un contratto di lavoro soltanto con regolamenti più severi: se non riesco, con strumenti
innovativi, a far sentire il lavoratore una risorsa e quindi a stimarlo e lo tratto
semplicemente come un opportunista e un furto e quindi gli aumento e gli rendo più
dure e più aspre le regole per controllarlo e monitorarlo - come dimostrano oggi migliaia
di studi - gli effetti sono opposti! Quindi non bastano regolamenti più severi per
aumentare la produttività… E’ una delle condizioni che vanno accompagnate con un sistema
di incentivi, di premi, di riconoscimento, di stima nei confronti del lavoratore,
che non è semplicemente un costo o un vincolo, ma la principale risorsa di una impresa!
(mg)