San Salvador: i vescovi chiedono agli ex-combattenti di porre fine all’occupazione
della cattedrale
“Come pastori della Chiesa nel Salvador esigiamo la consegna immediata della Cattedrale
di San Salvador e chiediamo inoltre che non si ripetano mai più gesti di questo tipo”.
Così si legge in una breve dichiarazione in cinque punti diffusa ieri dalla Conferenza
episcopale nel 14.mo giorno di occupazione del principale tempio del Paese da parte
di un gruppo di ex combattenti. I manifestanti, con questo gesto da più parti definito
“deplorevole e inopportuno”, intendono protestare contro il governo del presidente
Mauricio Funes per i ritardi con cui si applicano i programmi di reinserimento sociale
di numerosi salvadoregni che presero parte alla guerra civile conclusa con gli accordi
di pace del 16 gennaio 1992. Mons. Luis Escobar Alas, arcivescovo della capitale,
costretto in questi giorni a presiedere le cerimonie natalizie in altre chiese della
capitale, parlando ieri con i giornalisti - oltre a leggere il Comunicato dei vescovi
- ha voluto rilevare: “Esistono altri mezzi e altri spazi, molto più appropriati per
esigere e chiedere al governo e alle autorità di adempiere gli accordi che riguardano
questo settore della nostra società e i suoi diritti”. D’altra parte il presule ha
ribadito la richiesta indirizzata al governo affinché si “prendano le misure destinate
a facilitare il dialogo con queste persone”, tra le quali ci sono alcuni disabili
a causa della lunga guerra interna (14 anni) alla quale presero parte come combattenti
del Fronte Farabundo Martí para la Liberación Nacional, oggi movimento politico costituzionale
e al governo con il presidente Funes. L’arcivescovo ha anche precisato che “per la
Chiesa non è possibile alcun ruolo di mediazione o facilitazione del dialogo finché
il tempio resta occupato”. Mons. Escobar Alas ha ribadito di non voler chiedere l’uso
della forza, impropria in un tempio, specificando di confidare nella ragionevolezza
degli occupanti. Fra pochi giorni sarà celebrato il 19° anniversario della firma degli
accordi di pace, mediati dall’Onu, tra l'allora presidente Alfredo Cristiani ed i
ribelli del Fronte Farabundo Martí. La guerra interna provocò 75.000 morti e più di
7.000 dispersi e migliaia di mutilati, spesso adolescenti. Per gli ex combattenti
gli accordi prevedono dei programmi di reinserimento sociale, con un minimo di sostegno
economico e sociale, ma i fondi Onu in realtà sono fermi da alcuni anni e d’altra
parte la situazione economica del Paese non consente di rispettare gli impegni e ciò
è accaduto anche con i governi del passato. (A cura di Luis Badilla)