Benedetto XVI e lo "spirito di Assisi": chi cammina verso Dio non può che trasmettere
la pace
“Fare memoria” dello storico Incontro interreligioso di Assisi del 1986, voluto da
Giovanni Paolo II, ma anche “rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni
religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace”.
Sono gli intendimenti che, in ottobre, guideranno Benedetto XVI alla volta della città
francescana, dove avrà luogo un nuovo incontro tra i leader delle maggiori religioni
mondiali. In passato, in molte occasioni il Papa ha pronunciato parole ferme e intense
sull’importanza, nell’economia della pace mondiale, del ruolo giocato dalla religione.
Alessandro De Carolis ne ricorda alcune in questo servizio:
Quando si
è sotto lo sguardo di Dio, non contano le diverse parole o i diversi gesti con i quali
gli uomini Gli danno culto, ma il coraggio di quegli uomini di essere nel mondo, diversamente
eppure insieme, l’anima di Dio. E’ questo il palpito che batte nel cuore della Chiesa,
specie da quando 25 anni fa Giovanni Paolo II ebbe l’intuizione di rendere visibile
l’“impossibile”: mettere fianco a fianco, cuore a cuore, le grandi religioni della
terra perché fosse visibile agli Stati che l’architrave della pace poggia e poggerà
sempre sulle colonne di una fede. Il perché Benedetto XVI lo ha dimostrato con un
assunto stringente all’Angelus del primo dell’anno: “Chi è in cammino verso Dio –
ha detto – non può non trasmettere pace” e “chi costruisce pace non può non avvicinarsi
a Dio”. E’ con questa certezza che il Papa prenderà in ottobre la strada per la città
di San Francesco dove tutto è cominciato. Benedetto XVI lo sottolineò con chiarezza
anche tre anni fa, il 21 ottobre 2007, mentre si trovava in visita a Napoli in concomitanza
con l’incontro “Uomini e religioni” della Comunità di Sant’Egidio, una delle iniziative
internazionali più partecipate e longeve prodotte dallo “spirito di Assisi”:
“Nel
rispetto delle differenze delle varie religioni, tutti siamo chiamati a lavorare per
la pace e ad un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli. E’
questo l’autentico ‘spirito di Assisi’, che si oppone ad ogni forma di violenza e
all'abuso della religione quale pretesto per la violenza. Di fronte a un mondo lacerato
da conflitti, dove talora si giustifica la violenza in nome di Dio, è importante ribadire
che mai le religioni possono diventare veicoli di odio; mai, invocando il nome di
Dio, si può arrivare a giustificare il male e la violenza. Al contrario, le religioni
possono e devono offrire preziose risorse per costruire un’umanità pacifica, perché
parlano di pace al cuore dell’uomo”.
Lo scenario attuale spesso
racconta l’opposto. E cioè che spesso i primi a finire nei bersagli di un kamikaze
o di un’autobomba – piazzati per uccidere da chi non crede in Dio o ha trasformato
il suo nome nella bandiera di una propria guerra – sono proprio donne e uomini che
una fede la posseggono e la nutrono con coerenza. E che magari perdono la vita nel
sangue all’uscita da una chiesa o da una moschea. Benedetto XVI lo riconobbe all’inizio
dello scorso luglio, ricevendo il nuovo ambasciatore iracheno presso la Santa Sede.
Sul punto, le parole di solidarietà del Papa furono inequivocabili: “Negli ultimi
anni – constatò – si sono verificati molti atti tragici di violenza commessa contro
membri innocenti della popolazione, sia musulmani sia cristiani, atti che come lei
ha evidenziato – disse al diplomatico iracheno – sono contrari agli insegnamenti dell'Islam
nonché a quelli del cristianesimo”. Ma questo “dolore condiviso – soggiunse Benedetto
XVI – può costituire un vincolo profondo, rafforzando la determinazione dei musulmani
e dei cristiani a lavorare per la pace e per la riconciliazione”. La storia, proseguì,
“ha dimostrato che alcuni degli incentivi più potenti per superare la divisione derivano
dall'esempio di quegli uomini e di quelle donne che, avendo scelto la via coraggiosa
della testimonianza non violenta di valori più elevati, sono morti a causa di atti
codardi di violenza”.
Vigliacchi che causano morte nel nome del Dio
che è vita e sconosciuti eroi che sfidano il rischio di perderla pur di non tradire
la fede nel loro Dio: è in questo scontro – non di civiltà, come sbrigativamente si
dice, ma fra chi ha scelto gli interessi dell’odio e chi quelli dell’uomo e di Dio
– che si consumano i destini del mondo. Tutto questo, il Papa lo porterà ad Assisi
che, a riprova di quanto detto, da 25 anni è epicentro di pace internazionale non
solo religiosa. Lo ricorda il portavoce del Sacro Convento della città francescana,
padre Enzo Fortunato, intervistato dalla collega della redazione
spagnola della nostra emittente, Cecilia Avolio de Malak:
“Penso
al 1986, in piena Guerra fredda, e a come quell’incontro fu foriero di pace: ci fu
distensione subito dopo. Penso all’incontro per la Bosnia-Erzegovina, nel ’93: dopo
l’incontro con ebrei, musulmani e cristiani in Assisi, ci fu la pace. E così anche
nel 2002: l’incontro con tutti i leader religiosi, dopo i terribili attentati alle
Twin Tower, la testimonianza che Dio non viene più invocato come Colui che veste l’uomo
per andare in guerra, ma lo veste per portare la pace”.
Le campane hanno
suonato “a distesa e a lungo” all’annuncio del futuro arrivo di Benedetto XVI, ha
raccontato padre Enzo. E certamente hanno portato lontano l’eco dello “spirito di
Assisi” e dei desideri del Papa:
“Auspico vivamente che questo spirito
si diffonda sempre più soprattutto là dove più forti sono le tensioni, là dove la
libertà e il rispetto per l'altro vengono negati e uomini e donne soffrono per le
conseguenze dell’intolleranza e dell’incomprensione”.