Rapporto Fides: 23 operatori pastorali uccisi nel 2010
Nell’anno 2010 sono stati uccisi 23 operatori pastorali: un vescovo, 15 sacerdoti,
un religioso, una religiosa, 2 seminaristi, 3 laici. Ma è solo la punta dell'iceberg
di una situazione critica che coinvolge oggi sempre di più la comunità cristiana nel
mondo. E’ quanto emerge dal consueto Rapporto di fine anno presentato dalla Fides,
l'agenzia missionaria vaticana. Analizzando l’elenco per continente, anche quest’anno
il numero più elevato di martiri compare in America, dove sono stati uccisi 15 operatori
pastorali. Seguono l’Asia e l’Africa. Della testimonianza che questi martiri della
fede lasciano a tutti noi, Fausta Speranza ha parlato con padre Vito Del
Prete, del Pime, direttore ad interim di Fides:
R. – Sono
state uccise 23 persone: vescovi, preti, religiosi, seminaristi, laici. E’ rappresentato
un po’ tutto il popolo di Dio. Ma questa è la minima parte. Pensando alla persecuzione
che la Chiesa subisce dobbiamo dire che il momento è veramente molto, molto difficile
ma forse anche benedetto perché la Chiesa è nata nel sangue e dà testimonianza con
il sangue. La persecuzione oggi è diventata quella nota caratteristica della Chiesa
che in un certo senso ne sta descrivendo e autenticando la natura. Basta vedere come,
nonostante tutto, il Vangelo continui a diffondersi. Ma perché continua a diffondersi?
Non per l’organizzazione della Chiesa o per i finanziamenti che dà, ma proprio perché
è il sangue dei martiri a generare cristiani.
D. - Padre Vito, la persecuzione
non è mancata nei secoli di storia della Chiesa. Quali sono i tratti salienti di questo
momento storico?
R. – Come agenzia di stampa, stiamo seguendo specialmente
l’Asia, in maniera particolare il Pakistan e anche l’India. Il Pakistan ormai è diventato
per noi un momento di evangelizzazione nel sangue e lì ci sono tanti cristiani, semplici
cristiani che perfino davanti all’oppressione continua da parte di gruppi fondamentalisti
islamici non hanno paura di testimoniare Cristo. Il problema non riguarda solamente
i cristiani che sono stati uccisi, ma anche le chiese che vengono bruciate, i cristiani
che sono costretti a scappare via: sono i “displaced people”. E questo fenomeno tocca
in maniera molto forte i cristiani in Asia: in Pakistan; in Birmania, di cui nessuno
parla ma dove i cristiani vengono discriminati, qualche volta vengono ammazzati e
nessuno viene a saperlo, e sono esiliati all’interno del loro stesso Paese. Senza
parlare, poi, del Medio Oriente. Ora, tutto questo denota il fatto che Cristo è ancora
una “controcultura”: è una “cultura” umana che si oppone a tutti i regimi e a tutte
le oppressioni e schiavitù che l’uomo subisce dovunque si trovi. Il cristianesimo,
infatti, in un certo senso fa paura non perché conquista ma perché dà una testimonianza
di vita diversa.
D. – Cristo è per la vita eppure vediamo fratelli
che muoiono nell’annuncio di Cristo: quanto questo chicco di grano porta frutto?
R.
– Noi stiamo predicando la vita, e l’evangelizzazione è dare vita. Dare vita - come
lei ha già ricordato - vuol dire marcire sotto terra perché altrimenti la spiga di
grano non cresce. Il cristianesimo predica assolutamente la comunione: la comunione,
però, non è possibile senza il perdono, senza la comprensione. Il cristianesimo, sotto
questo aspetto, è una religione della debolezza: della debolezza dell’amore di Dio.
Sono convinto che a lungo andare anche questo martirio, questo dare la vita – laddove
la vita viene soppressa per i fratelli cristiani – trionferà, perché è la verità:
cioè, in fondo, sarà l’amore che è verità a trionfare. (bf)