Essere rifugiato in Italia, averne i diritti ma non gli aiuti
Via dei Villini a Roma: negli ultimi giorni è al centro dell’attenzione per la situazione
di drammatico degrado in cui vivono decine e decine di rifugiati somali che hanno
trovato riparo proprio nell’ex ambasciata del loro Paese, abbandonata da anni. L’orrore
delle condizioni di vita in cui versano queste persone in realtà colpisce gli oltre
1.500 rifugiati che vivono nella capitale, così come molti altri distribuiti nel resto
del Paese. Persone che lasciano i loro Paesi per sfuggire alle persecuzioni e che
in Italia anziché trovare riparo si ritrovano a vivere in veri e propri ghetti. E’
quello che denuncia da tempo il Consiglio italiano per i rifugiati. Francesca Sabatinelli
ha intervistato Valeria Carlini, responsabile delle relazioni esterne del Cir:
R. – La realtà
è che la condizione di queste persone peggiora una volta ottenuto uno status di protezione,
perché non hanno più la certezza di essere ospitati nei centri di accoglienza messi
a disposizione dallo Stato italiano. Infatti, una volta ottenuto lo status di rifugiato
si può essere accolti ma non si ha più il diritto ad essere accolti. Questo vuol dire
che dopo un brevissimo tempo dall’arrivo in Italia, dopo un’accoglienza in un centro
governativo ampio, con pochissimi servizi, le persone possono essere messe sulla strada
con un permesso di soggiorno di cinque anni in mano e con tutti i diritti che però
si svuotano dei contenuti di protezione vera e propria.
D. – Questo
svuotamento dei diritti significa che lo Stato italiano non provvede in alcun modo,
né con un sussidio, né tantomeno con la ricerca di alloggi o di lavoro?
R.
- La nostra legge dice che un rifugiato può essere accolto in un sistema di protezione,
ma il sistema di protezione realizzato dallo Stato italiano al momento ha tremila
posti di accoglienza per 17 mila richiedenti asilo dello scorso anno, per metà dei
quali si è ottenuto poi il riconoscimento dello status di rifugiato. Chiaramente,
i posti sono insufficienti ad accogliere tutti. Si tratta si posti di accoglienza
che poi durano un periodo di tempo limitato, sei mesi o al massimo un anno: un anno
in cui la persona arriva in Italia fortemente traumatizzata e vulnerabile e dovrebbe
compiere un percorso di formazione linguistica, professionale e di inserimento lavorativo.
E’ evidente che non tutti riescono a fare un percorso così complesso in un tempo così
ridotto. Ancor più grave è che non tutti hanno accesso ad un sistema che non riesce
ad accogliere tutti quelli che arrivano nel nostro Paese.
D. – Anche
dal punto di vista sanitario, quindi, ci sono le ovvie ricadute...
R.
– Le ovvie ricadute ci sono nel momento in cui gruppi di rifugiati - gruppi di persone
che hanno tutti i diritti di stare in Italia - si trovano costrette a vivere in veri
e propri slum, all’interno di grandi realtà metropolitane. E’ evidente che
laddove si viva in posti occupati all’interno di binari di una stazione ferroviaria
o in caseggiati fatiscenti, anche le condizioni igienico-sanitarie precipitino e che
la condizione di salute di queste persone peggiori vorticosamente. E questo succede
anche dove tutti i diritti sanitari di cittadinanza vengono garantiti da un sistema
legislativo che però, poi, non prevede servizi attraverso i quali metterli in atto.
D.
– Roma è stata alla ribalta in questi ultimi giorni, ma non è l’unico caso in Italia...
R.
– Sicuramente Roma, che viene chiamata da molti la seconda Lampedusa d’Italia, è una
città che ha una tradizione di presenza di rifugiati più elevata di altre realtà metropolitane.
Ma anche Milano ha vissuto momenti di grave crisi, anche Torino con la caserma di
via Asti ha riportato alla cronaca momenti di grande tensione in questo tempo. Senza
pensare poi ai tanti immigrati di Castel Volturno, tra cui tantissimi sono rifugiati
o sotto protezione internazionale. Il panorama, quindi, è drammatico in molte realtà
d’Italia.
D. – Come Cir quali sono le richieste al governo italiano?
R.
– Noi, da sempre, insistiamo sulla necessità di creare dei programmi di integrazione
per i rifugiati che prevedano un’accoglienza e una capacità di inserire i rifugiati
in un’autonomia alloggiativa dopo il riconoscimento del loro status. E’ indegno che
nella nostra legislazione questo non venga previsto per coloro a cui lo Stato dà protezione.
Da sempre, inoltre, promuoviamo una legge organica sull’asilo all’interno della quale
l’integrazione dei rifugiati rappresenti un capitolo specifico e importante. (bf)