Dal sisma di Haiti al Trattato Start, un bilancio internazionale del 2010
Fine anno, tempo di bilanci. Il 2010 è cominciato con un terremoto, quello devastante
di Haiti, a cui hanno fatto seguito il sisma in Cile e le alluvioni in Pakistan. A
livello internazionale, proprio gli ultimi giorni hanno fatto segnare un passo in
avanti nella riduzione degli arsenali nucleari, con il nuovo Trattato Start Usa-Russia.
Ce ne parla Luigi Geninazzi, inviato speciale del quotidiano “Avvenire”, intervistato
da Giada Aquilino:
R. – Dovremmo
ricordare cosa succedeva, quanto si parlava, si litigava e si discuteva su questa
problematica negli anni ’70 e negli anni ’80, senza poi arrivare a grandi risultati.
Questa è una riduzione molto significativa sia da parte degli Stati Uniti che da parte
della Federazione Russa. Già due anni fa si era profilato questo accordo: ci sono
stati poi degli intoppi di carattere di politica interna negli Stati Uniti, perché
il Congresso ha un po’ puntato i piedi. Adesso La Duma farà ora le sue osservazioni:
ma ci sarà la firma ufficiale, che senza dubbio rappresenta un grande passo in avanti,
anche se rimangono migliaia di testate nucleari da una parte e dall’altra.
D.
– Un altro avvenimento è stato la fine ufficiale della guerra in Iraq, promessa già
in campagna elettorale dal presidente statunitense Obama. Quale situazione rimane
sul terreno, anche relativamente alla condizione dei cristiani?
R. –
E’ una situazione molto precaria: il governo ha impiegato nove mesi ad insediarsi,
alcune cariche importanti di ministeri non sono ancora state assegnate e alcune "caselle"
non sono ancora state riempite. Tutto rimane ancora molto difficile: ci sono ancora
scontri di tipo etnico, ci sono ancora scontri di potere al vertice. Tutto questo
si intreccia e si scatena contro la parte più debole, che sono i cristiani. I cristiani
sono perseguitati, ma non hanno nessun potere: non sono come gli sciiti, i curdi o
i sunniti che hanno delle roccaforti di potere, che hanno delle lobby dentro il potere.
I cristiani non hanno niente, non hanno nessuno.
D. – Dall’Iraq alla
pace in tutto il Medio Oriente, i negoziati israelo-palestinesi sembrano in fase di
stallo…
R. - I palestinesi sono molto deboli: la leadership
palestinese – come sappiamo - è divisa. Il presidente Abu Mazen non ha nessun controllo
su Gaza, che è tenuta in mano dagli estremisti del movimento Hamas. Certe condizioni
– che ai tempi di Arafat era difficile ottenere, come il netto impegno per fermare
le azioni di terrorismo – sono pienamente rispettate dall’Autorità palestinese di
Abu Mazen; non da Hamas, ovviamente, su cui non ha nessun potere. Per cui, tutto potrebbe
far pensare che si possa arrivare facilmente ad un accordo, però questo accordo non
arriva. All’inizio, lo stesso Obama ha alzato la voce con il premier israeliano, Netanyhau,
per cercare di bloccare gli insediamenti, anche se questo non ha prodotto grandi effetti
e gli insediamenti continuano. Appare chiaro quindi che se un giorno mai si arriverà
a uno Stato palestinese, al momento non si vede ancora una possibile data per la realizzazione
di questo.
D. - La crisi economica ha toccato soprattutto l’Europa negli
ultimi mesi, con situazioni preoccupanti in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda. Di
contro, poi, c’è la crescita dei colossi asiatici come la Cina e l’India. Si va verso
nuovi assetti internazionali?
R. - Con l’ultimo vertice di Lisbona si
è cercato di mettere in atto un grande piano affinché non si corressero più questi
rischi, visto come sono sprofondate la Grecia e l’Irlanda e visto che ora si parla
di Portogallo e anche di Spagna, che sembra essere sempre più in bilico, senza contare
cosa potrebbe succedere all’Italia o ad altri Paesi. E' chiaro quindi che c’è una
debolezza strutturale. L’Europa ha poi tante risorse culturali di grandi tradizione,
che però non riesce a giocarsi sullo scacchiere internazionale. Io credo si tratti
di un problema di volontà politica, mentre alcuni colossi che si affacciano nel mondo
- pensiamo solo alla Cina e all’India, non si fanno tanti scrupoli. Basti pensare
alla Cina che praticamente tiene in pugno l’economia degli Stati Uniti, perché tiene
tutto il debito americano.
D. – Il 2010 è stato anche l’anno delle grandi
catastrofi naturali: ricordiamo i terremoti ad Haiti e in Cile, ma anche le alluvioni
in Pakistan. Quanto la comunità internazionale è pronta a far fronte ad eventi del
genere?
R. – Dopo il Protocollo di Kyoto, si stanno facendo dei passi
in avanti. Ma sono ancora passi in avanti molto timidi, perché anche lì è molto difficile
avere una governance a livello globale su questi problemi. (bf)