Tensione tra le Coree. La Cina tenta la mediazione
Nella penisola coreana non si attenuano le tensioni. Il regime comunista della Corea
del Nord minaccia un attacco atomico contro la Corea del Sud. Da parte sua, Seul risponde
di essere pronta alla guerra. Nel prossimo febbraio il ministro della Difesa sudcoreana
dovrebbe recarsi a Pechino per discutere con le autorità cinesi una via d’uscita ad
una crisi che si fa sempre più pericolosa. Ma come valutare questo scenario? Eugenio
Bonanata ha intervistato Emanuele Giordana, direttore di Lettera 22:
R. – La minaccia
di usare il deterrente nucleare chiaramente spaventa di più dopo che, non molte settimane
fa, la Corea del Nord ha attaccato la Corea del Sud con un lancio di missili, uccidendo
militari e civili. E’ questo che, naturalmente, rende l’escalation delle parole –
a cui ormai siamo abituati da diversi anni – più pericolosa, anche in vista del fatto
che c’è sostanzialmente uno stallo diplomatico.
D. – Tra l’altro, Seul
chiede segnali distensivi da parte di Pyongyang per dare avvio ad un qualsiasi tipo
di negoziato …
R. – La Corea del Sud, però, da un po’ di anni a questa
parte ha chiuso con la cosiddetta ‘politica di una nuova primavera’, che era stata
inaugurata dalla vecchia presidenza. Le ultime manovre militari sono un segnale che
in realtà contraddice queste aperture, ed è anche abbastanza evidente che senza un
mediatore terzo la questione non si risolve: i due Paesi sono ancora formalmente in
guerra e forse questo sarebbe un passo necessario, che però rimane impossibile finché
c’è questa contrapposizione diretta tra i due governi. Naturalmente, quello di Pyongyang
è quello che ha le posizioni più dure e quindi bisognerebbe incominciare da lì.
D.
– La riunificazione tra le due Coree, di cui si era parlato in questi mesi, appare
comunque un’ipotesi ormai tramontata, alla luce degli ultimi sviluppi?
R.
– Tramontata forse no, nel senso che abbiamo capito che da più parti c’è questa volontà
e naturalmente un cambio di leadership a Pyongyang potrebbe riesumare questa ipotesi
che, tutto sommato, ai nordcoreani potrebbe anche fare comodo. Certo, in questo momento
è difficile che ci si possa pensare: possiamo soltanto sperare che il figlio di Kim
Jong Il, di cui non sappiamo assolutamente nulla, e alcuni settori dell’esercito,
della nomenclatura, che probabilmente sopportano con difficoltà questo regime, cambino
direzione. Pensare ad una vera e propria riunificazione dei due Paesi è soltanto un’ipotesi
di lungo periodo in cui, al momento, possiamo solo mettere le nostre speranze, senza
avere nessun tassello che indichi che si vada in quella direzione.
D.
– Pyongyang ha spesso agitato lo spettro del nucleare, sotto varie forme, anche per
procurarsi beni di prima necessità. Sembra, però, che ora il regime lo stia facendo
per fini politici, più strategici …
R. – La vicenda del nucleare ormai
è diventata il modello utilizzato un po’ da tutti per agitare uno spauracchio: lo
fanno gli iraniani e lo fanno i nordcoreani, ma lo fanno in un certo senso anche i
Paesi che possiedono la bomba atomica e che fanno parte di un “club” molto ristretto
a cui qualcuno è ammesso e altri no, e in cui per qualcuno – penso, ad esempio, ad
Israele ma anche all’India – è tollerato il possesso di queste armi, anche se non
hanno firmato il Trattato di non proliferazione nucleare. Quindi c’è un problema generale
che dev’essere risolto. Chiaramente, nelle mani di un Paese non democratico l’atomica
resta un pericolo! (gf)