Resta incerta la sorte dei 250 profughi prigionieri nel deserto del Sinai
Le condizioni dei 250 profughi eritrei e di altre nazionalità, ostaggio di un gruppo
di trafficanti di esseri umani che li tengono prigionieri dal 24 novembre scorso nel
deserto del Sinai egiziano, non sono acnora chiare. Finora, sono otto i profughi uccisi
perché non avrebbero potuto pagare il riscatto richiesto per raggiungere Israele:
quattro invece sarebbero quelli rilasciati. Gli uomini si troverebbero in una sorta
di accampamento-lager, del quale il governo egiziano ha finora negato l'esistenza.
Emanuela Campanile ne ha parlato con Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati:
R. – Novità
non ci sono, in quanto a noi le autorità egiziane hanno detto che si stanno occupando
del caso e stanno cercando queste persone. Però, non si è ancora riusciti a rintracciare
il luogo preciso. Certo, quello del Sinai è un territorio difficile.
D.
– Nel suo blog, riguardo a questi ostaggi, lei scrive:“Una realtà agghiacciante, tipica
dei nostri tempi, che non sembra interessare nessuno”...
R. – Sì, perché
quello che stiamo vedendo è che, di fatto, le persone che fuggono dai Paesi di origine
in cui ci sono i conflitti, che fuggono dalle dittature, si trovano davanti a una
realtà sempre più difficile: le strade sono tutte chiuse, interdette, e questa chiusura
genera di fatto un mercato fiorente per persone senza scrupoli, che su questo lucrano.
Tutto questo accade, però, senza che effettivamente si intervenga per interromperlo.
D.
– La comunità internazionale è latitante: è questo intende dire?
R.
– La comunità internazionale, ma anche l’opinione pubblica, non mi sembra sia stata
molto partecipe. Ora, noi siamo venuti a sapere di questi 250, ma sicuramente non
è la prima volta che persone in fuga si trovino poi nelle mani di bande senza scrupoli.
Eppure, tutto questo continua, come se non ci sia la volontà sufficiente per interrompere
questo mercato.(ap)