Iran. Attentato contro una moschea sciita: decine di morti
Circa 40 morti e 50 feriti. Questo il bilancio dell’attentato suicida che stamani
ha colpito una moschea sciita di Chabahar, nella regione sud-orientale del Sistan-Baluchistan,
alla vigilia della festa islamica dell’Ashura, nella quale si celebra il martirio
dell’imam Hussein. Si tratta di un nuovo episodio che dimostra come la Repubblica
islamica sia percorsa da varie forze che tendono a destabilizzare il Paese. Su questi
aspetti, Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, docente
di Geopolitica all’Università Cattolica del Sacro Cuore:
R. – L’Iran
è sempre stato un Paese dai vari volti, un Paese che noi vediamo monolitico, ma che
in realtà non lo è: non lo è dal punto di vista etnico, perché i persiani sono solo
una parte della popolazione e vi sono molte altre comunità. In particolare, i rapporti
sono molto tesi con la minoranza araba del sud e, soprattutto, con i baluchi, che
abitano il Sistan-Baluchistan, dove avvengono spesso attentati anche
contro le moschee. L’Iran non è monolitico dal punto di vista religioso: è sciita,
ma rimangono gruppi sunniti, come gli arabi e come gli stessi baluchi; non lo è dal
punto di vista politico: proprio in questi anni abbiamo avuto tantissime riprove della
grande frattura interna all’elite di potere del governo. E’ quindi un Paese molto
più sfaccettato e complicato di quanto si possa immaginare.
D. – Quale
obiettivo potrebbe esservi dietro un attentato del genere, che ha colpito una moschea
sciita?
R. – In tutto il mondo islamico, durante le celebrazioni del
martirio dell’imam Hussein, vi sono gruppi terroristici sunniti che detestano gli
sciiti e non riconoscono loro il ruolo di veri musulmani, attaccando proprio le moschee
o i cortei che si formano per questo evento. A questo si unisce, in Baluchistan, la
rivendicazione politica autonomista: i baluchi sono da sempre riottosi nei confronti
di Teheran e vi sono gruppi che usano metodi terroristici, come appunto gli attentati.
Un’ultima particolarità è quella che lega l’azione di questi gruppi anche al grande
traffico di droga: la droga prodotta in Asia centrale e in Afghanistan scende verso
i mercati occidentali soprattutto attraverso il Baluchistan. Stiamo parlando di rotte
che valgono miliardi di dollari all’anno. Questi grandi spacciatori possono smuovere
anche centinaia di militanti.
D. – Come il governo centrale di Teheran
riesce a controllare le istanze autonomiste, in qualche modo?
R. – Tradizionalmente,
Teheran non ha avuto problemi e ha sempre usato un mix di repressione e di cooptazione.
Certo con l’avvento degli ultraradicali, con la ripresa di questo fervore che Ahmadinejad
ha portato, con la diminuzione della tolleranza interna - in Iran anche nei momenti
più tesi vi era sempre stato un certo grado di tolleranza del dissenso - questi spazi
si stanno chiudendo. Ahmadinejad è espressione dei pasdaran, le guardie rivoluzionarie,
gente molto più radicale e dura, che non tollera nessun tipo di dissenso e tutto questo
rinfocola le tensioni. Va anche detto che vi sono stati Paesi che combattono Teheran
proprio favorendo questi gruppi minoritari e di opposizione. Ma certamente la Repubblica
islamica non cadrà per colpa di questi gruppi, che possono provocare disturbi anche
gravi, causando molti morti, ma che politicamente non hanno nessuna presa: Teheran
ha comunque il polso della situazione, e queste azioni permettono e giustificano la
linea dura di Teheran nelle province meno tranquille.(ap)