Accordo al vertice sul clima di Cancún, ma senza impegni precisi
La sedicesima conferenza Onu sul clima si è conclusa oggi a Cancún, in Messico, con
l’approvazione di un fondo di aiuti per i Paesi in via di sviluppo e con l’adozione
di un pacchetto di misure per contenere l’emissione di gas serra nel mondo dopo la
scadenza del protocollo di Kyoto nel 2012. Tuttavia non sono stati definiti impegni
precisi, per i quali si rimanda al prossimo vertice in programma l’anno prossimo in
Sudafrica. Proprio su questo rinvio Eugenio Bonanata ha intervistato Sergio
Marelli, presidente di Focsiv, volontari nel mondo:
R. – Il rinvio
al 2011 a Durban, in Sudafrica, è stata la via d’uscita quando, nei giorni scorsi,
il negoziato sembrava oramai essere arrivato ad uno stallo irrecuperabile. Il fatto
di avere trovato un accordo per rivedere alcune attuazioni, alcune scelte concrete
solo tra un anno, è stato un po’ un chiaro indicatore di come Cancún non sia stata
all’altezza delle aspettative. I prossimi mesi saranno quindi determinanti per preparare
una Conferenza del Sudafrica, a fine 2011, che si spera possa essere definitivamente
chiara sugli impegni da prendere, sulle mosse da fare, sui meccanismi da seguire per
fermare questo problema che attanaglia il nostro pianeta.
D. – Uno scenario
già visto, si potrebbe dire? Pensiamo a Copenaghen …
R. – Sicuramente,
un po’ come Copenaghen, anche se – bisogna dirlo – qualche passo in avanti è stato
sicuramente fatto. Innanzitutto, un passo positivo è l’attenzione ai Paesi in via
di sviluppo con la considerazione della necessità di un loro “adattamento”: questo
è un termine tecnico che indica a tutti che, senza lo stanziamento delle risorse adeguate
questi Paesi, queste economie povere non possono adeguare i loro meccanismi di produzione
e le loro economie a standard eco-compatibili. Anche perché senza l’intervento dei
Paesi del Sud del mondo non si potrà affrontare efficacemente la questione dei cambiamenti
climatici.
D. – In particolare, a Cancún sono stati stanziati 30 miliardi
subito e 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2020, proprio per aiutare i Paesi
in via di sviluppo a sostenere gli impegni sul fronte climatico …
R.
– Sì: questa è stata la richiesta del “panel” di alto livello che ha voluto il segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che da Cancún ha chiaramente detto che
questi sono impegni importanti, sono una sfida ardua – ha usato proprio queste parole.
Però ha anche sottolineato, immediatamente, che la crisi economica non può e non deve
essere una giustificazione nel caso in cui gli Stati dovessero fare un passo indietro
dopo questi impegni assunti.
D. – Come valutare la posizione della Bolivia
che sul fronte del post-Kyoto, insieme ad altri Paesi sudamericani, ha espresso perplessità
su un documento finale che – ha detto – “fissa solo impegni in bianco per i Paesi
sviluppati”?
R. – Bolivia ed Ecuador sono da tempo, ormai, i portabandiera
della campagna “ambientalista” del Sudamerica. Sono due Paesi che fanno presente come
gli impegni del post-Kyoto debbano essere più stringenti di quanto non definito fino
ad ora. E questa sarà la grande questione sul tavolo del prossimi 12 mesi, in preparazione
dell'appuntamento a Durban, in Sudafrica.
D. – Un’ultimissima battuta:
non è cambiato l’atteggiamento degli Stati Uniti?
R. – Non è cambiato.
A Copenaghen era sembrato che l’amministrazione Obama potesse imprimere una svolta
sulle questioni climatiche; probabilmente, le elezioni di mezzo termine, con la ripresa
al Senato del potere da parte dei repubblicani, ha fatto sì che il capo negoziatore
statunitense, Todd Sturn, abbia irrigidito ancor più le sue posizioni. Gli Stati Uniti
d’America restano un problema, a più forte ragione oggi, quando la Cina sembrerebbe
disposta a qualche apertura in più riguardo alla posizione assunta lo scorso anno
a Copenaghen. (gf)