Smentita la liberazione di Sakineh: delusione nella comunità internazionale
Sakineh non è stata rilasciata. La donna iraniana, condannata nel 2006 alla lapidazione
per adulterio, con sentenza poi sospesa ed ora in attesa di giudizio in un processo
per l'uccisione del marito, sarebbe stata condotta nella sua casa, davanti alle telecamere,
per un documentario commissionato dalle autorità di Teheran alla tv di Stato. Ieri
sera si era invece diffusa la notizia del suo rilascio, assieme a quello del figlio
Sajjad, anch'egli agli arresti. Ce ne parla il giornalista iraniano, Ahmad Rafat,
già segretario della Stampa estera in Italia, intervistato da Giada Aquilino:
R. – A quanto
mi risulta, avendo parlato anche con alcuni avvocati in Iran, Sakineh è stata portata
fuori dal carcere insieme al figlio, per la realizzazione di una ricostruzione televisiva,
che dovrebbe andare in onda stasera sul canale in lingua inglese della Repubblica
islamica, Press Tv. Ciò sarebbe stato fatto affinché lei - come nei precedenti due
casi in cui l’hanno portata davanti alle telecamere - si autoaccusi di tutti i reati
per i quali è incriminata e perché denunci chi conduce una campagna, dentro e fuori
il Paese, contro la lapidazione.
D. – Dalle immagini diffuse, quali
sono le condizioni della donna?
R. – Dalle immagini diffuse - alcune
fotografie e alcuni video che annunciano questo programma - si troverebbe apparentemente
in buono stato.
D. – Perché verrebbe trasmesso il documentario su Sakineh?
R.
– Perché nel gioco psicologico tra Iran e Paesi occidentali, Teheran vorrebbe dimostrare
che l’Occidente lo accusa di cose non vere e che monta delle campagne umanitarie che
non dovrebbero esserci, perché il caso non esiste. Questo programma credo sia dovuto
ai risultati - o ai non risultati - della conferenza di lunedì e martedì scorsi a
Ginevra sulla questione nucleare.
D. – La mobilitazione internazionale,
i colloqui di Teheran con i negoziatori del 5+1 … esattamente cosa sta influendo sulla
vicenda di Sakineh?
R. – La campagna internazionale ha ottenuto un primo
risultato: che almeno per il momento la lapidazione sia stata rimandata e sia stata
aperta una discussione all’interno della leadership iraniana, cioè se questi tipi
di punizione – la lapidazione – giovino al Paese oppure possano mettere a rischio
la sua posizione internazionale e se pertanto sarebbe meglio evitarli.
D.
– Il figlio di Sakineh si è battuto strenuamente per la libertà della madre, tanto
da finire in carcere con l’avvocato; e la famiglia del marito ucciso ha già perdonato
Sakineh. E’ una vicenda che è diventata ingombrante per l’Iran?
R. –
Sakineh rischiava una pena di morte "normale" e per impiccagione e lapidazione, per
due reati diversi. La pena di morte per impiccagione sarebbe avvenuta per l’uccisione
del marito, un reato per il quale adesso Sakineh è stata condannata a 15 anni di carcere,
visto che la famiglia del marito l’ha perdonata. Invece, la lapidazione è una condanna
che nessuno può condonare, perché è dovuta al fatto che Sakineh abbia avuto rapporti
al di fuori del matrimonio.
D. – Cosa c’è da aspettarsi nelle prossime
ore allora?
R. – Io credo che per il momento – voglio essere ottimista
– Sakineh servirà come strumento di lotta psicologica dell’Iran contro l’Occidente,
pertanto riuscirà a sopravvivere e la sentenza di lapidazione nei suoi confronti verrà
sospesa. (ap)