Wikileaks, Assange arrestato a Londra. L'esperto: svelare i file non serve alla democrazia
E’ finita poco prima di mezzogiorno di oggi, a Londra, la latitanza di Julian Assange,
il fondatore del sito Wikileaks. Ad arrestare il 39.enne giornalista australiano è
stata la polizia britannica, alla quale Assange si è consegnato di persona. Ricercato
da un mandato di cattura dell'Interpol, il creatore di Wikileaks, ha spiegato Scotland
Yard, “dovrà comparire oggi davanti alla Corte di giustizia di Westminster” per rispondere
delle “accuse di coercizione, aggressione sessuale e stupro” a danno di due donne,
per episodi commessi in Svezia lo scorso agosto. Sullo sfondo della cattura, la possibile
estradizione negli Stati Uniti, che Assange rifiuta categoricamente. La pubblicazione
su Wikileaks di file segreti della diplomazia statunitense sta creando da giorni seri
imbarazzi e tensioni in campo internazionale. Ma questa operazione aiuta la trasparenza
e la democrazia? Il collega della redazione francese, Xavier Sartre, lo ha
chiesto a Dominique Wolton, direttore dell’Istituto di Scienze della comunicazione
in Francia:
R. – Si l’information
mette en cause les individués … Se l’informazione mette a rischio gli individui,
credo allora che la libertà di stampa debba tener conto anche della fragilità degli
uomini. E questo i giornalisti lo dovrebbero sapere molto bene, poiché sono molto
spesso minacciati dalle diverse situazioni nel mondo. Non vedo in nome di quale diritto
o di quale dovere dell’informazione si debba mettere a rischio uomini e donne, renderli
vulnerabili, gli esseri umani non sono computer. Sappiamo bene quanto sia necessaria
esercitare una funzione critica, fondamentale per giornali e giornalisti, ma a condizione
che sia basata su risultati d’inchiesta. Ma questi non sono i risultati di un’inchiesta,
si tratta di un furto.
D. – Questo tipo di trasparenza non è comunque
utile in una democrazia?
R. – Je ne pense pas que ca augment la crédibilité… Io
non penso che questo possa aumentare la credibilità della stampa e della democrazia.
Quando ci sono elementi recettori di tanti segreti, e quando ci si trova a vivere
in una logica del sospetto e della denuncia, allora questa non è democrazia. La democrazia
non consiste nel fatto di ritenere che tutti i poteri siano “marci”, tranne ovviamente
quello dell’informazione: la democrazia consiste nell’indicare ai cittadini cosa sia
il bene e cosa sia il male da un punto di vista sociale, nei media come in altri settori.
Non si può immaginare e credere che vi siano sempre dei complotti o delle strategie
di menzogna, ovunque… Così facendo i cittadini non avranno più fiducia nei poteri
politici, militari e diplomatici, né tantomeno nei mezzi di informazione.
D.
– La domanda allora è: perché i media si fanno essi stessi megafoni di Wikileaks?
R.
– L’absence di une riflassions… L’assenza di una riflessione nei media non
è la sola: il mondo accademico non è certo migliore. L’assenza di una riflessione
dei media sui limiti di Internet è follia: c’è una tale quantità di informazione per
cui si crede che più essa abbonda, più si è democratici. Si sostiene, in questo caso,
che le informazioni non è stato possibile verificarle, perché sono informazioni confidenziali,
segrete. Il giornalista allora riferisce notizie e informazioni che egli stesso non
ha verificato? Questo è già imbarazzante, perché la deontologia dei giornalisti prevede
che questo tipo di materiale non possa essere pubblicato. Siamo completamente all’opposto
del valore sulla libertà di stampa. I mezzi di informazione non riescono ad assumere
una distanza critica. Il cuore dell’informazione nel mondo è rappresentato dalle informazioni
verificate e costruite dai giornalisti. Ci sono quindi informazioni non verificate
che provengono da varie fonti, ma il nostro lavoro, il nostro compito, la grandezza
stessa del nostro lavoro ci dovrebbe imporre in alcuni casi di fare una scelta consapevole:
quella di non diffondere e di non pubblicare. Spesso ci si giustifica dicendo che
si tratta del dovere di informare o ci si mette una maschera dicendo che se non è
questo giornale, allora lo sarà un altro a pubblicare. Ma la conseguenza di una concorrenza
interna ai media non può giustificare il fatto di scaricare la coscienza per pubblicare
il più velocemente possibile non importa cosa.
D. – Qual è il rischio
in un contesto di globalizzazione?
R. – La globalisassions de l’information
… La globalizzazione dell’informazione è come un palazzo che si può fondare
su voci, rivelazione o scandali… Così facendo si arriverà esattamente al risultato
contrario: non si aumenterà la coscienza democratica, ma si aumenterà soltanto il
rifiuto della democrazia: ecco allora che avremmo costruito il palazzo delle voci
e di tutte quelle volontà intenzionate a ridurre la libertà di informazione.
D.
– Allora ci si equivochiamo su cosa sia veramente la libertà di informazione?
R.
– La liberté d’information… La libertà di informazione non consiste nello
stabilire una sorta di canale tra quello che è un attore politico, militare o diplomatico
e la stampa: altrimenti i giornalisti non servirebbero a niente. Il lavoro di un giornalista
è quello di scegliere ciò che deve tenere per sé come informazione, come conoscenza
personale, come cultura personale e quello che può invece assumersi come responsabilità
davanti all’opinione pubblica. L’autocensura fa parte della vita politica e non è
ipocrisia. Per il fascino di un’abbondanza dell’informazione, i giornalisti dimenticano
che la grandezza del loro mestiere è - giustamente - quella di non sottomettersi a
tutto ciò, ma di porre una distanza rispetto alle fonti di informazione. Se lo fanno,
la loro credibilità aumenterà nel mondo. Come purtroppo sappiamo, la credibilità dei
media e dei giornalisti, negli ultimi 20 anni, è in calo. Quindi, non è che facendo
questo che i cittadini avranno più fiducia nei giornalisti, anzi al contrario.(mg)