2010-12-07 15:11:15

Scarcerato il marocchino arrestato per la scomparsa di Yara Gambirasio


Il giudice per le indagini preliminari di Bergamo Vincenza Maccora ha disposto oggi la scarcerazione di Mohammed Fikri, il marocchino fermato nei giorni scorsi per la vicenda della scomparsa di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra di cui non si hanno più notizie dal 26 novembre. Intanto, ieri è stato trasferito nel carcere di Lamezia Terme Chafik El Ketani, il marocchino di 21 anni che domenica mattina, a bordo di una Mercedes, ha travolto un gruppo di dieci ciclisti uccidendone sette. E’ accusato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla guida sotto l'effetto della droga. I due episodi di cronaca hanno riaperto il dibattito sul rischio di xenofobia e razzismo in Italia. Fabio Colagrande ne ha parlato con Laura Zanfrini, docente di Sociologia delle migrazioni presso l'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – E’ vero che tutte le statistiche ci dicono che c’è una sovrarappresentazione degli immigrati, in particolare, e della componente irregolare in carcere. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli immigrati – marocchini compresi – non si macchia di alcun delitto, di alcun comportamento deviante. Quindi, è sempre sbagliato poi fare generalizzazioni per un intero gruppo o un’intera comunità, con alcune considerazioni che valgono solo per qualcuno dei suoi componenti. In queste due vicende, però, mi sembra di poter rilevare che gli organi di stampa hanno una grande responsabilità nell’aver fatto, se possibile, di tutto, per fomentare intolleranza e per fomentare un certo tipo di reazione. Se si osservavano alcune interviste fatte dalle televisioni a Brembate, c’era veramente la ricerca a tutti i costi di una reazione di tipo intollerante. Abbiamo avuto veramente una manifestazione di uso totalmente improprio del potere che i media hanno di influenzare l’opinione pubblica e di dirigere gli atteggiamenti in una direzione piuttosto che in un’altra.

D. – Professoressa Zanfrini, dal punto di vista sociologico, qual è la molla che fa scattare la voglia di criminalizzare un gruppo etnico straniero e addossare a lui tutta la responsabilità?

R. – Questa tendenza alla categorizzazione, al pregiudizio, alla ricerca del capro espiatorio, è un po’ insita nella nostra natura. I criminologi, da alcuni anni, ci restituiscono un dato che fa riflettere. L’Italia è relativamente un Paese sicuro, se rapportato all’esperienza di molte altre nazioni: abbiamo un tasso di omicidi che continua ad essere tra i più bassi del mondo, un tasso di delitti consumati e denunciati che va diminuendo nel corso degli anni. Però, contestualmente, le persone si sentono più insicure e in queste circostanze è abbastanza naturale la ricerca di un capro espiatorio. Gli psicologi sociali ci dicono che gli stranieri sono la categoria ideale per svolgere questo ruolo. Al contempo, però, l’insicurezza è un sentimento reale, che va ascoltato e va, in qualche maniera, contenuto.

D. – A questo proposito, c’è stato chi ha detto: “La percezione che gli stranieri hanno dell’Italia è quella di un Paese permissivo, dove la certezza della pena è inesistente”...

R. – Non solo hanno l’impressione di un Paese permissivo, ma hanno anche l’impressione di un Paese a bassissima cultura della legalità. Anche la criminalità, anche la devianza degli stranieri, per esempio, è molto più diffusa in quei contesti dove la criminalità locale, la criminalità organizzata, il lavoro nero sono diffusi. Molto meno nelle società locali, in cui c’è più integrazione.(ap)







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