Continua il dramma dei profughi eritrei nelle mani dei predoni
Rimane ancora incerta la sorte degli oltre 70 profughi eritrei, da giorni nelle mani
di un gruppo di predoni al confine tra Egitto e Israele. Da quando in Europa - e in
particolare in Italia - sono state adottate misure più stringenti per contrastare
l’immigrazione clandestina, sono cambiate le rotte di chi dall’Africa cerca di raggiungere
l’Occidente. Marco Guerra ha intervistato Christopher Hein, direttore del Centro italiano
per i Rifugiati:
R. – E’ parte
di un dramma certamente ben più vasto di gente che disperatamente cerca vie per arrivare
nel territorio dell’Unione Europea. Le misure che sono state prese, rendono questo
tentativo sempre più difficile a cominciare da qualche anno fa, quando molti africani
arrivavano in Europa passando per lo Stretto di Gibilterra. Poi la Spagna ha chiuso
questa via con la forza militare. Questo movimento si è successivamente spostato nell’enclave
spagnola in territorio marocchino, ma comunque sempre parte dell’Unione Europea. Quindi
è stato elevato il muro intorno a questa enclave spagnola e la rotta si è spostata
verso le Isole Canarie. A quel punto, la Spagna è intervenuta nei Paesi di transito
– Mauritania e Senegal – e ha chiuso anche questi passaggi. L’Italia ha poi raggiunto
l’accordo con la Libia e ha assicurato anche tutto il supporto logistico e tecnico.
Però non c’è stata una soluzione per chi, come gli eritrei, non può tornare nella
propria terra. Sono infatti rifugiati e temono per la loro incolumità e per la loro
vita. Questa è una situazione in cui più si mettono in atto misure di contrasto e
di vigilanza delle frontiere europee, più si aumenta il mercato delle organizzazioni
criminali che ne approfittano. La risposta, secondo noi, è quella di aprire finalmente
canali per un arrivo protetto, un arrivo legale di queste persone, senza che debbano
mettere a rischio la propria vita.
D. – Cosa potrebbe avvenire al gruppo
di questi profughi dopo un eventuale rilascio?
R. – In Egitto rischiano
di essere confinati in un centro di detenzione delle autorità egiziane. Ma in tal
caso ci sarebbe, comunque, un modo per contattare l’ufficio dell’Alto Commissariato
dell’Onu per i Rifugiati e cercare di far riconoscere loro lo status di rifugiati.
L’Egitto ha aderito e ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, pur non
avendo dato grande attuazione a questo impegno internazionale. La possibilità di ottenere
protezione in Egitto esiste ma la via da percorrere non è facile.
D.
– Per i rifugiati ci sono convenzioni che prevedono particolari tutele. E’ così difficile
applicarle?
R. – Fino a 20 anni fa, la stragrande maggioranza di rifugiati
è arrivata in Europa in modo regolare, perché non c’era ancora questo rigido sistema
di visti d’ingresso. Era quindi molto più facile anche per i cittadini provenienti
da Paesi terzi entrare nel territorio della comunità europea. Da quando, poi, in Europa
sono state introdotte tutte queste misure per una maggiore sorveglianza delle frontiere
con le operazioni coordinate dall’agenzia Fronte che gestisce gli sforzi delle polizie
di frontiera - con il regime dei visti d’ingresso che praticamente ormai si applicano
a tutti gli Stati africani e alla stragrande maggioranza degli Stati asiatici - le
conseguenze sono che oggi non ci sono più ponti per entrare nella “Fortezza Europa”.
(gf)