2010-12-05 14:26:55

Rapporto della fondazione Migrantes, oltre 4 milioni gli italiani all’estero


Aumentano gli italiani all’estero: oggi costituiscono il 6,7% della popolazione italiana, un numero quasi pari a quello degli immigrati residenti nel Belpaese. E’ la fotografia del rapporto della fondazione Migrantes “Italiani nel mondo”, presentato nei giorni scorsi a Roma. La maggior parte degli emigrati è di origine meridionale e si sente ben integrata. Europa e America restano le mete privilegiate. In crescita il fenomeno della cosiddetta “fuga di cervelli”. Sul rapporto, Paolo Ondarza ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes:RealAudioMP3

R. – La Chiesa italiana segue da sempre – e il Rapporto lo sottolinea – il mondo dell’emigrazione italiana. L’emigrazione italiana è un’emigrazione giovanile di persone che hanno una cultura medio-alta. E’ un fenomeno che, quindi, ci aiuta a leggere forse una povertà di politiche giovanili e la necessità di una riforma universitaria, che colleghi studio e lavoro.

D. – Faceva riferimento a quella che viene definita la fuga dei cervelli in Italia. Questo è sempre un male o può anche costituire un bene?

R. – Di fronte alla crisi, chi è andato all’estero e ha avuto un certo successo, se messo in rete anche con la ricerca italiana, la cultura italiana, l’economia italiana, può costituire un valore aggiunto. In questo senso, allora, riteniamo importante che questa non sia considerata una “fuga”, ma semplicemente una “delocalizzazione” e che comunque non possa non essere letta con riferimento all’economia e alla cultura italiana, come lo sono le migliaia di imprese all’estero ed anche l’economia all’estero. Non è un caso che il secondo padiglione per numero di visitatori all’Expo a Shangai, dopo quello cinese, sia stato quello italiano.

D. – Cosa dire dell’integrazione degli italiani all’estero?

R. – Anche la storia dell’emigrazione italiana dimostra come l’integrazione non avvenga con una bacchetta magica, ma sia un percorso dinamico, un percorso d’incontro che ha bisogno di anni, di decenni, di molta attenzione e di molta sensibilità.

D. – Ritiene che questo possa essere anche un parametro da adottare nei comportamenti finalizzati ad una buona integrazione di chi viene in Italia?

R. – Certo. La nostra storia dovrebbe essere indicativa di come non sia facile l’integrazione per una persona che arriva in un Paese. C’è bisogno di servizi, di accompagnamento, di attenzione alla scuola per costruire un’integrazione e non invece nuovi luoghi di conflittualità nella mobilità. (ap)







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