Rapporto della fondazione Migrantes, oltre 4 milioni gli italiani all’estero
Aumentano gli italiani all’estero: oggi costituiscono il 6,7% della popolazione italiana,
un numero quasi pari a quello degli immigrati residenti nel Belpaese. E’ la fotografia
del rapporto della fondazione Migrantes “Italiani nel mondo”, presentato nei giorni
scorsi a Roma. La maggior parte degli emigrati è di origine meridionale e si sente
ben integrata. Europa e America restano le mete privilegiate. In crescita il fenomeno
della cosiddetta “fuga di cervelli”. Sul rapporto, Paolo Ondarza ha intervistato
mons. Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes:
R. – La Chiesa
italiana segue da sempre – e il Rapporto lo sottolinea – il mondo dell’emigrazione
italiana. L’emigrazione italiana è un’emigrazione giovanile di persone che hanno una
cultura medio-alta. E’ un fenomeno che, quindi, ci aiuta a leggere forse una povertà
di politiche giovanili e la necessità di una riforma universitaria, che colleghi studio
e lavoro.
D. – Faceva riferimento a quella che viene definita la fuga
dei cervelli in Italia. Questo è sempre un male o può anche costituire un bene?
R.
– Di fronte alla crisi, chi è andato all’estero e ha avuto un certo successo, se messo
in rete anche con la ricerca italiana, la cultura italiana, l’economia italiana, può
costituire un valore aggiunto. In questo senso, allora, riteniamo importante che questa
non sia considerata una “fuga”, ma semplicemente una “delocalizzazione” e che comunque
non possa non essere letta con riferimento all’economia e alla cultura italiana, come
lo sono le migliaia di imprese all’estero ed anche l’economia all’estero. Non è un
caso che il secondo padiglione per numero di visitatori all’Expo a Shangai, dopo quello
cinese, sia stato quello italiano.
D. – Cosa dire dell’integrazione
degli italiani all’estero?
R. – Anche la storia dell’emigrazione italiana
dimostra come l’integrazione non avvenga con una bacchetta magica, ma sia un percorso
dinamico, un percorso d’incontro che ha bisogno di anni, di decenni, di molta attenzione
e di molta sensibilità.
D. – Ritiene che questo possa essere anche
un parametro da adottare nei comportamenti finalizzati ad una buona integrazione di
chi viene in Italia?
R. – Certo. La nostra storia dovrebbe essere indicativa
di come non sia facile l’integrazione per una persona che arriva in un Paese. C’è
bisogno di servizi, di accompagnamento, di attenzione alla scuola per costruire un’integrazione
e non invece nuovi luoghi di conflittualità nella mobilità. (ap)