2010-12-04 15:47:03

Profughi eritrei prigionieri nel Sinai. I Gesuiti del Centro Astalli: cosa fa l'Europa?


La comunità internazionale continua a seguire con il fiato sospeso la vicenda dei circa 80 profughi eritrei da diverse settimane nelle mani di un gruppo di predoni in una località del deserto del Sinai, al confine tra Egitto e Israele. Le loro condizioni di salute si fanno di giorno in giorno sempre più gravi. Gli esuli si erano affidati ai trafficanti per 2mila dollari pur di raggiungere il territorio israeliano: i sequestratori ne chiedono ora il quadruplo. I fuggitivi si sono trasformati così in ostaggi, sei dei quali sarebbero già stati uccisi. Intanto diverse associazioni umanitarie, fra cui la Comunità di Sant’Egidio, hanno lanciato un nuovo appello alle Nazioni Unite e alle istituzioni europee affiché intervengano per la risoluzione di questa vicenda. Ma per quali motivi si è sviluppata questa drammatica situazione? Marco Guerra lo ha chiesto a padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia:RealAudioMP3

R. – Questa situazione si è creata poiché il flusso di profughi che partiva dall’Eritrea, dall’Etiopia, dal Sudan, attraversando il deserto e giungendo in Libia, ha poi grandi difficoltà a compiere la traversata per venire in Europa. L’adozione dei respingimenti ha provocato questo fenomeno - che non è il solo - e ha portato le persone a sperimentare nuove rotte. L’episodio che stiamo commentando dimostra come la situazione, per chi è costretto a scappare dal proprio Paese, diventa più difficile, più rischiosa e più costosa.

D. - Che cosa prevedono le nuove rotte?

R. - Le nuove rotte sono diventate certamente più lunghe. Le persone che sono state costrette a fuggire dai loro Paesi a causa di persecuzioni politiche o religiose, raccontano di essersi imbarcati in Senegal e di essere sbarcati nel porto di Napoli o sulle coste della Calabria … Il viaggio - la fuga - diventa ancora più costosa, perché bisogna pagare il passaporto che consente di viaggiare in aereo: tant’è vero che il ministro dell’Interno, dopo aver bloccato il flusso di Lampedusa, si diceva preoccupato del possibile arrivo negli aeroporti. Una persona che rischia la propria vita pur di scappare dalle persecuzioni, non si ferma sicuramente davanti ad un provvedimento come quello dei respingimenti! Se io rischio la mia vita e la metto in gioco, e l’unica possibilità è quella di fuggire, qualunque strada pericolosa io debba affrontare, la percorro! Non immaginiamo nemmeno quante persone muoiano intraprendendo questo viaggio, questa fuga, pur di cercare di salvare la propria vita.

D. - L’Europa rimane la principale meta di chi scappa dalla povertà, dalla miseria: non è auspicabile un approccio comune dell’Ue al tema dell’immigrazione e della tratta degli esseri umani?

R. - Ci battiamo per affermare, ancora una volta, che l’agire per contrastare il fenomeno è soltanto un dispendio di energie, sia a livello di risorse umane che economiche. Tutti dovrebbero prendere coscienza del fatto che accogliere in maniera umana e dignitosa, rispettando queste persone e i diritti stessi di queste persone rappresenti l’unica strada per dare una risposta a questo fenomeno, riuscendo anche a far passare il messaggio che c’è una volontà onesta di governare questo fenomeno, cercando insieme di risolvere i problemi nei Paesi di provenienza.

D. - Al momento gli ostaggi sono in una località del Sinai: perché le autorità egiziane non intervengono?

R. - Un gruppo di eritrei - e questo è tristissimo dirlo! - non interessa le autorità. Se è necessario iniziare una guerra per un pozzo di petrolio o per un qualcosa di materiale che ha un valore, allora sì che ci si mobilita! Per le persone sembra essere più difficile riuscire a farlo… Questo non riguarda soltanto le autorità egiziane: anche l’Unione Europea cosa dice o cosa sta facendo? I Paesi civili e democratici, cosa hanno detto e soprattutto cosa sono pronti a fare per salvare queste vite umane? (mg)







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