Andare incontro a chi è solo, malato ed anziano: l’intenzione di preghiera del
Papa per il mese di dicembre
“Perché l’esperienza della sofferenza sia occasione per comprendere le situazioni
di disagio e di dolore in cui versano le persone sole, gli ammalati e gli anziani,
e stimoli tutti ad andare loro incontro con generosità”: così, il Papa nell’intenzione
generale di preghiera per questo mese di dicembre. Un tema, quello della sofferenza,
che Benedetto XVI ha affrontato tante volte e al quale ha dedicato pagine luminose
della sua Enciclica “Spe salvi”. In questo servizio di Alessandro Gisotti,
riascoltiamo le parole del Papa in risposta ad un giovane sacerdote, affetto da sclerosi
multipla, durante un incontro con il clero di Bressanone, nell’agosto del 2008:
Portare
con coraggio e umiltà la Croce, mostrare che la sofferenza può essere una straordinaria
esperienza d’amore. Di fronte alla toccante testimonianza di un sacerdote gravemente
malato, Benedetto XVI indica l’esempio del suo amato predecessore, Giovanni Paolo
II che ha seguito il Signore portando la Croce:
“Questa umiltà,
questa pazienza con la quale ha accettato quasi la distruzione del suo corpo, la crescente
incapacità di usare la parola, lui che era stato maestro della parola. E così ci ha
mostrato - mi sembra - visibilmente questa verità profonda che il Signore ci ha redento
con la sua Croce, con la Passione come estremo atto del suo amore”.
Karol
Wojtyla, osserva il Papa, “ha mostrato che la sofferenza non è solo un non, un qualcosa
di negativo, la mancanza di qualche cosa, ma è una realtà positiva”:
“Che
la sofferenza accettata nell’amore di Cristo, nell’amore di Dio e degli altri è una
forza redentrice, una forza dell’amore e non meno potente che i grandi atti che aveva
fatto nella prima parte del suo Pontificato. Ci ha insegnato un nuovo amore per i
sofferenti e fatto capire che cosa vuol dire "nella Croce e per la Croce siamo salvati”.
Dio,
ribadisce Benedetto XVI, è amore e “nell’identificarsi con la nostra sofferenza di
esseri umani ci prende nelle sue mani e ci immerge nel suo amore”:
“Perciò
mi sembra che noi tutti – e sempre di nuovo in un mondo che vive di attivismo, di
giovinezza, dell’essere giovane, forte, bello, del riuscire a fare grandi cose – dobbiamo
imparare la verità dell’amore che si fa passione e proprio così redime l’uomo e lo
unisce con Dio amore. Quindi vorrei ringraziare tutti coloro che accettano la sofferenza,
che soffrono con il Signore e vorrei incoraggiare tutti noi ad avere un cuore aperto
per i sofferenti, per gli anziani e capire che proprio la loro passione è una sorgente
di rinnovamento per l’umanità e crea in noi amore e ci unisce al Signore”.
“Ma
alla fine – ammette – è sempre difficile soffrire”. Per questo, è la sua esortazione,
bisogna assistere quanto più possibile quelli che soffrono, con “il rispetto per il
valore della vita umana, proprio della vita sofferente fino alla fine”. La sofferenza,
afferma, “la passione è presenza dell’amore di Cristo, è sfida per noi ad unirci con
questa sua passione”:
“Dobbiamo amare i sofferenti non solo con
le parole, ma con tutta la nostra azione e il nostro impegno. Mi sembra che solo così
siamo cristiani realmente. Ho scritto nella mia Enciclica ‘Spe salvi’ che la capacità
di accettare la sofferenza e i sofferenti è misura dell’umanità che si possiede".
Per
una riflessione sull’intenzione di preghiera del Papa, Alessandro Gisotti ha
intervistato il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci:
R. – Mi
sembra che il Santo Padre abbia toccato uno dei punti fondamentali della nostra esperienza
di fede, quello di saper aprire gli occhi, il “vedere”. Il “vedere” che troviamo nel
Vangelo, nella parabola del Buon samaritano: “Lo vide e si fermò”. Credo che ci suggerisca
proprio di aprire gli occhi su una realtà che nel nostro tempo è molto importante:
la realtà della sofferenza, della malattia; la realtà degli anziani e della solitudine
degli anziani. Ce ne sono molti nella nostra città: vivono nelle loro case e, molte
volte, sembrano essere quasi “murati vivi” al settimo o l’ottavo piano. Per questo,
forse, non li vediamo. Il Santo Padre ci chiede di aprire gli occhi e di cercare di
vedere concretamente la realtà.
D. – Che cosa fa concretamente
la Caritas per rispondere a questa intenzione di preghiera del Papa?
R.
– Abbiamo attivato - e stiamo cercando di incrementarlo sempre di più - un servizio
che si chiama “Servizio alla persona”. Si tratta di volontari che si recano negli
appartamenti per dare non solamente un contributo di servizi, ma anche per attutire
e smorzare la solitudine e la paura degli anziani. Qui a Roma ci sono tante esperienze
di questo tipo: c’è una parrocchia che ha attivato un servizio di teleassistenza così
da far superare la paura che gli anziani hanno di rimanere soli. Questa paura è molto
forte, molto grande, soprattutto quando si avvicina la sera, la notte.
D.
– A Natale celebriamo Dio che ci viene incontro, che si fa vicino all’uomo. Un’occasione
ideale per farci anche noi prossimi a chi è solo, a chi è nel bisogno…
R.
– Credo che il punto centrale sia proprio questo e le parole di Gesù - nel capitolo
25 di Matteo - ci dicono proprio questo: “Qualunque cosa farete al più piccolo dei
vostri fratelli, l’avrete fatto a me”. E l’attenzione all’ultimo oggi appare ancora
più necessaria, poiché non riusciamo più a riconoscere nel volto dell’altro, il volto
di Cristo. Questa nostra attenzione è per non fare diventare il Natale solamente una
memoria storica di un fatto avvenuto: il Signore viene, viene continuamente e si manifesta
a ciascuno di noi, anche nel volto dei più piccoli, dei più poveri: Lui è lì, ce lo
ha detto Lui. (bf)