2010-12-04 12:43:27

Andare incontro a chi è solo, malato ed anziano: l’intenzione di preghiera del Papa per il mese di dicembre


“Perché l’esperienza della sofferenza sia occasione per comprendere le situazioni di disagio e di dolore in cui versano le persone sole, gli ammalati e gli anziani, e stimoli tutti ad andare loro incontro con generosità”: così, il Papa nell’intenzione generale di preghiera per questo mese di dicembre. Un tema, quello della sofferenza, che Benedetto XVI ha affrontato tante volte e al quale ha dedicato pagine luminose della sua Enciclica “Spe salvi”. In questo servizio di Alessandro Gisotti, riascoltiamo le parole del Papa in risposta ad un giovane sacerdote, affetto da sclerosi multipla, durante un incontro con il clero di Bressanone, nell’agosto del 2008:RealAudioMP3  

Portare con coraggio e umiltà la Croce, mostrare che la sofferenza può essere una straordinaria esperienza d’amore. Di fronte alla toccante testimonianza di un sacerdote gravemente malato, Benedetto XVI indica l’esempio del suo amato predecessore, Giovanni Paolo II che ha seguito il Signore portando la Croce: 

“Questa umiltà, questa pazienza con la quale ha accettato quasi la distruzione del suo corpo, la crescente incapacità di usare la parola, lui che era stato maestro della parola. E così ci ha mostrato - mi sembra - visibilmente questa verità profonda che il Signore ci ha redento con la sua Croce, con la Passione come estremo atto del suo amore”. 

Karol Wojtyla, osserva il Papa, “ha mostrato che la sofferenza non è solo un non, un qualcosa di negativo, la mancanza di qualche cosa, ma è una realtà positiva”: 

“Che la sofferenza accettata nell’amore di Cristo, nell’amore di Dio e degli altri è una forza redentrice, una forza dell’amore e non meno potente che i grandi atti che aveva fatto nella prima parte del suo Pontificato. Ci ha insegnato un nuovo amore per i sofferenti e fatto capire che cosa vuol dire "nella Croce e per la Croce siamo salvati”.

 

Dio, ribadisce Benedetto XVI, è amore e “nell’identificarsi con la nostra sofferenza di esseri umani ci prende nelle sue mani e ci immerge nel suo amore”: 

“Perciò mi sembra che noi tutti – e sempre di nuovo in un mondo che vive di attivismo, di giovinezza, dell’essere giovane, forte, bello, del riuscire a fare grandi cose – dobbiamo imparare la verità dell’amore che si fa passione e proprio così redime l’uomo e lo unisce con Dio amore. Quindi vorrei ringraziare tutti coloro che accettano la sofferenza, che soffrono con il Signore e vorrei incoraggiare tutti noi ad avere un cuore aperto per i sofferenti, per gli anziani e capire che proprio la loro passione è una sorgente di rinnovamento per l’umanità e crea in noi amore e ci unisce al Signore”. 

“Ma alla fine – ammette – è sempre difficile soffrire”. Per questo, è la sua esortazione, bisogna assistere quanto più possibile quelli che soffrono, con “il rispetto per il valore della vita umana, proprio della vita sofferente fino alla fine”. La sofferenza, afferma, “la passione è presenza dell’amore di Cristo, è sfida per noi ad unirci con questa sua passione”: 

“Dobbiamo amare i sofferenti non solo con le parole, ma con tutta la nostra azione e il nostro impegno. Mi sembra che solo così siamo cristiani realmente. Ho scritto nella mia Enciclica ‘Spe salvi’ che la capacità di accettare la sofferenza e i sofferenti è misura dell’umanità che si possiede". 

Per una riflessione sull’intenzione di preghiera del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci:RealAudioMP3  

R. – Mi sembra che il Santo Padre abbia toccato uno dei punti fondamentali della nostra esperienza di fede, quello di saper aprire gli occhi, il “vedere”. Il “vedere” che troviamo nel Vangelo, nella parabola del Buon samaritano: “Lo vide e si fermò”. Credo che ci suggerisca proprio di aprire gli occhi su una realtà che nel nostro tempo è molto importante: la realtà della sofferenza, della malattia; la realtà degli anziani e della solitudine degli anziani. Ce ne sono molti nella nostra città: vivono nelle loro case e, molte volte, sembrano essere quasi “murati vivi” al settimo o l’ottavo piano. Per questo, forse, non li vediamo. Il Santo Padre ci chiede di aprire gli occhi e di cercare di vedere concretamente la realtà.

 

D. – Che cosa fa concretamente la Caritas per rispondere a questa intenzione di preghiera del Papa?

 

R. – Abbiamo attivato - e stiamo cercando di incrementarlo sempre di più - un servizio che si chiama “Servizio alla persona”. Si tratta di volontari che si recano negli appartamenti per dare non solamente un contributo di servizi, ma anche per attutire e smorzare la solitudine e la paura degli anziani. Qui a Roma ci sono tante esperienze di questo tipo: c’è una parrocchia che ha attivato un servizio di teleassistenza così da far superare la paura che gli anziani hanno di rimanere soli. Questa paura è molto forte, molto grande, soprattutto quando si avvicina la sera, la notte.

 

D. – A Natale celebriamo Dio che ci viene incontro, che si fa vicino all’uomo. Un’occasione ideale per farci anche noi prossimi a chi è solo, a chi è nel bisogno…

 

R. – Credo che il punto centrale sia proprio questo e le parole di Gesù - nel capitolo 25 di Matteo - ci dicono proprio questo: “Qualunque cosa farete al più piccolo dei vostri fratelli, l’avrete fatto a me”. E l’attenzione all’ultimo oggi appare ancora più necessaria, poiché non riusciamo più a riconoscere nel volto dell’altro, il volto di Cristo. Questa nostra attenzione è per non fare diventare il Natale solamente una memoria storica di un fatto avvenuto: il Signore viene, viene continuamente e si manifesta a ciascuno di noi, anche nel volto dei più piccoli, dei più poveri: Lui è lì, ce lo ha detto Lui. (bf)








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