Il cardinale Ruini: maturi i tempi del federalismo, purché solidale e responsabile
Si apre domani pomeriggio a Roma, nel complesso di Santo Spirito in Sassia, il X Forum
del Progetto Culturale della Chiesa italiana dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia.
L’apertura dei lavori è affidata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei,
mentre venerdì pomeriggio Giuliano Amato, Dino Boffo, Lucio Caracciolo e Giuliano
Ferrara daranno vita ad una tavola rotonda proprio sull’Unità d’Italia, tema del Forum.
Sabato, infine, le conclusioni del cardinale Camillo Ruini, presidente del
Comitato per il Progetto culturale. Al porporato, Luca Collodi ha chiesto se
il progetto federalista dell’Italia sia compatibile con il percorso unitario del Paese
iniziato 150 anni fa:
R. - E’ un
progetto - come si sa - molto discusso. Personalmente sono favorevole al federalismo.
Ritengo che, in fondo, appartenga alla natura profonda del nostro Paese: un Paese
molto vario, composito, anche molto ricco di individualità, che non si può ingabbiare
in una struttura troppo uniforme. Questo è stato il limite, forse allora necessario,
del Risorgimento e poi dello Stato risorgimentale e successivamente del periodo fascista.
Adesso, si cammina verso il federalismo e credo che ormai sia una scelta difficilmente
irreversibile. L’importante è che questo federalismo non solo sia solidale, come tutti
diciamo, ma che valorizzi anche positivamente e responsabilizzi le classi governanti,
le classi dirigenti delle varie parti del Paese. Qui dobbiamo dire con sincerità che
ci sono - diciamo così - diverse velocità, diverse capacità di assumere le proprie
responsabilità e di gestire in modo efficace sia la cosa pubblica, sia l’iniziativa
privata da parte delle classi dirigenti locali. Credo che il federalismo possa essere
un’occasione di responsabilizzazione. Certo, come tale non è esente da rischi. Vorrei
dire una parola sola: il rischio della libertà, che è ineliminabile dalla condizione
umana.
D. - Sul fronte della gestione del bene comune, l’Italia sembra
incontrare oggi un periodo di difficoltà...
R. - L’Italia certamente
attraversa un momento molto delicato. Credo ne uscirà positivamente, come tante altre
volte ne è uscita, perché noi italiani forse non siamo molto bravi nel lungo periodo,
ma siamo invece bravi a superare le difficoltà di breve periodo e questa è una difficoltà
di breve periodo. Più insidioso è il grande problema della crisi economico-finanziaria,
che rappresenta soltanto un aspetto del più ampio ridimensionamento del ruolo dell’Europa
e in generale dell’Occidente, compresi gli Stati Uniti, nel mondo che si sta formando,
che sta cambiando in maniera così veloce. Per questo, dobbiamo dire con sincerità
ai nostri giovani, ai figli delle nostre famiglie, che le aspettative crescenti che
hanno animato, che hanno dato forza alle generazioni ormai anziane, non ci sono più.
Oggi, ci aspettano tempi difficili: tempi in cui tutto dovrà essere - in qualche modo
- continuamente conquistato in una competizione mondiale: non dico una competizione
militare, ma una competizione economica, sociale, culturale mondiale, che è certamente
molto faticosa e molto impegnativa per noi. Per questo, credo ci sia bisogno di molta
fiducia nella vita, alla quale la fede cristiana dà un contributo fondamentale, come
ha spiegato in maniera così efficace Benedetto XVI nell’Enciclica Spes Salvi.
D.
- Guardando all’Italia, ma anche all’Europa, la sensazione è che non ci siano più
formule politiche adatte a risolvere in modo stabile dei problemi…
R.
- Certamente, le formule politiche vanno sempre adattate: devono evolversi con l’evolversi
delle situazioni. Forse uno dei punti più deboli del’Italia è che l’Italia sembra
in realtà poco riformabile. Si parla sempre della necessità di riforme di vario tipo
- politiche, istituzionali, costituzionali, economiche, finanziarie, della scuola,
dell’università - e si cerca anche di operare in questo senso. Ma, diciamo così, il
tessuto connettivo dell’Italia è molto vischioso e quindi difficilmente riformabile.
Penso che tutti gli italiani - e in particolare, non voglio dire le varie corporazioni,
ma comunque le varie professioni, i vari settori in cui si articola la nostra società
- devono rendersi consapevoli della necessità di cambiamenti. Se si evitano tutti
i cambiamenti, il Paese non tiene il passo con i tempi e le conseguenze le paghiamo
tutti.
D. - A livello europeo, c’è la crisi dell’Euro. Questa crisi
economica è il risultato di una mancanza d’identità, anche spirituale dell’Unione
Europea?
R. - Probabilmente sì. Questo certamente pesa parecchio. Bisogna
rafforzare l’identità spirituale dell’Unione Europea, valorizzare quell’unità che
nella sostanza c’è e le cui radici sono principalmente - non esclusivamente, ma principalmente
- nel cristianesimo. Ma - come dicevo prima - è anche il risultato di quel grande
sviluppo di nuovi Paesi - di nuovi e antichi Paesi - che rinnovano se stessi, come
la Cina, l’India e pensiamo anche all’Islam, che non dipendano da noi, ma che non
possiamo non accogliere.