Elezioni in Egitto: stravince il partito di Mubarak
Il Partito nazionale democratico, al potere in Egitto, ha stravinto il primo turno
delle elezioni legislative, tenutosi domenica, incassando oltre 200 dei 508 seggi
in palio in Parlamento. Lo riferiscono i quotidiani egiziani, dopo la diffusione in
nottata dei risultati delle elezioni, dai quali viene confermato che i Fratelli Musulmani
non hanno guadagnato nessun seggio al primo turno. Intanto il ministero degli Esteri
del Cairo ha risposto con durezza alle preoccupazioni espresse dagli Stati Uniti,
parlando di “un’ingerenza inaccettabile”. Per un’analisi su questa importante tornata
elettorale, Salvatore Sabatino ha intervistato Luciano Ardesi, esperto
di Nord Africa:
R. – Queste
elezioni parlamentari erano il banco di prova delle future elezioni presidenziali,
che si terranno il prossimo anno. Secondo la modifica della Costituzione, sarà necessario
che il Parlamento si pronunci sui candidati alle prossime elezioni presidenziali.
Il fatto che il partito al potere, il Partito Nazionale Democratico, abbia fatto l’en
plein vuol dire praticamente escludere che candidati indipendenti possano presentarsi
e contrastare la probabile candidatura di Mubarak, che è al potere da 29 anni - il
prossimo anno saranno 30 anni di potere e Mubarak avrà 83 anni. Il presidente, peraltro,
non si è ancora pronunciato sulla sua candidatura.
D. – La comunità
internazionale - gli Stati Uniti in testa - si sono detti delusi per come sono state
condotte le elezioni ...
R. – Gli Stati Uniti hanno sempre appoggiato
l’Egitto, proprio per il ruolo che può svolgere in Medio Oriente. Le diverse amministrazioni
americane hanno più volte cercato di fare pressione e di incoraggiare ad aperture
da parte del governo egiziano. Bisogna dire che i risultati di questa diplomazia attiva
da parte di Washington sono stati piuttosto scarsi sul piano interno. Lo si è visto
anche nella preparazione della campagna elettorale di queste elezioni: gli Stati Uniti
avevano proposto di inviare osservatori internazionali e il governo del Cairo ha assolutamente
rifiutato, accettando solo osservatori interni, che hanno incontrato enormi difficoltà.
Credo, però, che almeno fino alle elezioni presidenziali, la politica degli Stati
Uniti, sostanzialmente, non cambierà.
D. - In segno di protesta contro
i brogli elettorali, i Fratelli musulmani hanno ventilato la possibilità di non partecipare
al ballottaggio di domenica prossima. Secondo te, questo si può interpretare come
un segno di debolezza o come una sfida diretta a Mubarak?
R. - E' senz'altro
una sfida diretta, anche se i risultati - prevedibili - del secondo turno metteranno
questa confraternità dei Fratelli musulmani in una situazione difficile. Del resto,
il partito è fuorilegge, la possibilità di presentare candidati indipendenti è stata
una sorta di compromesso concordato con il regime. C'era stata la sorpresa delle elezioni
del 2005, quando i Fratelli musulmani avevano raggiunto circa il 20 per cento dei
seggi del Parlamento: già da allora era chiaro che il regime non avrebbe più accettato
una situazione di questo genere. Da cinque anni il potere ha fatto di tutto per scoraggiare
un'avanzata di carattere politico di questa Confraternita, ha cercato anche di dividerla
- ci sono stati anche dei dissensi interni alla Confraternita, che l'hanno sicuramente
indebolita.
D. – C’è la possibilità che questa situazione possa sfociare
in violenze e moti popolari, secondo te?
R. – Certo, in Egitto c’è molta
tensione in questo momento; durante la campagna elettorale gli scontri sono stati
violenti: si parla di tre morti, ma altre fonti indipendenti parlano di un numero
superiore. Amnesty International ha chiesto di fare chiarezza su quello che è accaduto.
Sappiamo che tra l'altro, le tensioni sociali, negli ultimi mesi, sono sfociate anche
in tensioni interreligiose. Bisogna dire che il governo ha dato l’impressione di soffiare
sul fuoco, anche per dividere il campo di una possibile opposizione. Il rischio di
violenze rimane sicuramente molto alto, proprio perché ci sarà questa lunga campagna
elettorale per le presidenziali, da cui emergerà che il Paese non è aperto ad un futuro
democratico, anzi, si sta chiudendo su se stesso e questo non potrà che aumentare
la delusione della popolazione, tanto più che c’è una forte crisi economica in corso.
Tutto questo farà sì che qualsiasi prospettiva di un’apertura democratica sia definitivamente
accantonata. (ap)