Mons. Vegliò al Convegno in Senegal sulla migrazione al femminile: donne sfruttate,
i governi difendano i loro diritti
Due milioni di donne sfruttate, spesso gravemente, solo perché costrette ad emigrare
dai loro Paesi di origine. Una massa “invisibile” che invoca qualche forma di tutela.
E’ quanto ha chiesto l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio
Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, che oggi si trova a Saly,
in Senegal, per parlare in apertura del Convegno sul tema “Il volto femminile delle
migrazioni”, organizzato da Caritas Internationalis fino al 2 dicembre. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
L’emigrazione
e l’immigrazione non sono fenomeni solo al maschile. Eppure questa considerazione
è, nella realtà, meno ovvia di quanto appaia. Mons. Vegliò è stato chiaro: per esempio,
ha detto, in nessuna parte del mondo vi sono ancora “leggi al servizio della maternità”,
che tengano “nel dovuto conto il fatto che la donna ha un proprio modo di gestire
le diverse realtà”. L’esempio portato dal capo del dicastero vaticano è il segno dell’attenzione
posta dalla Chiesa alla questione. Se le migrazioni hanno un “volto femminile”, come
recita il titolo del Convegno in Senegal, ciò significa che i governi – è questo l’auspicio
della Chiesa – “devono rivedere le politiche e le regole che compromettono la tutela”
dei loro diritti fondamentali, come “la lotta contro gli abusi sul lavoro e gli abusi
sessuali, l’accesso ai servizi sanitari, all’alloggio, alla nazionalità, ai ricongiungimenti
familiari e all’assistenza delle giovani madri”. Ci sono Paesi, ha constatato mons.
Vegliò, nei quali “l’emigrazione femminile ha oramai superato” quella maschile. Di
contro, ha affermato, “solamente 42 Stati” hanno ratificato la “Convenzione internazionale
sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie”,
ovvero lo strumento internazionale di tutela per queste masse di persone in transito
verso una nuova sistemazione.
Ben noti sono, purtroppo, i drammi che
nascono dalle tante situazioni dove la tutela dei diritti è assente o solo sulla carta.
Mons. Vegliò ha ricordato che i lavori comunemente assegnati alle donne immigrate
sono di tipo domestico, o riguardano l’assistenza agli anziani o ai bambini. Tuttavia,
in molti casi vengono “coinvolte nel lavoro sommerso, private dei diritti umani più
elementari e a volte abusate nella sfera domestica”. Quattro milioni di donne nel
mondo – la metà minorenni – arricchiscono il traffico della prostituzione per un giro
d’affari, ha citato il presule, di 12 miliardi di dollari l’anno. Siamo davanti, ha
detto, alla “terza attività illegale più redditizia al mondo, dopo il commercio di
armi e di droga”. Mons. Vegliò ha riferito anche di “segni positivi” che danno forza
alla speranza in un ambito spesso cupo per via, ha sottolineato, di “numerose difficoltà
da superare, pregiudizi da vincere, principi e obiettivi da realizzare”. Da questo
versante, ha assicurato, la Chiesa continuerà la sua opera di accoglienza dei migranti,
mobilitandosi inoltre perché “la legislazione sulla libertà religiosa sia improntata
ad uno spirito di correzione e di rispetto reciproco”. “L’insufficiente possibilità
concreta di partecipazione sociale, politica e culturale che la società civile garantisce
oggi alla donna – ha concluso – si ripercuote anche sulle nostre comunità cristiane,
chiamate perciò a valorizzare prima di tutto i valori di riferimento, il vissuto quotidiano
e la cultura della donna immigrata”.