2010-11-30 12:50:25

Mons. Vegliò al Convegno in Senegal sulla migrazione al femminile: donne sfruttate, i governi difendano i loro diritti


Due milioni di donne sfruttate, spesso gravemente, solo perché costrette ad emigrare dai loro Paesi di origine. Una massa “invisibile” che invoca qualche forma di tutela. E’ quanto ha chiesto l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, che oggi si trova a Saly, in Senegal, per parlare in apertura del Convegno sul tema “Il volto femminile delle migrazioni”, organizzato da Caritas Internationalis fino al 2 dicembre. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

L’emigrazione e l’immigrazione non sono fenomeni solo al maschile. Eppure questa considerazione è, nella realtà, meno ovvia di quanto appaia. Mons. Vegliò è stato chiaro: per esempio, ha detto, in nessuna parte del mondo vi sono ancora “leggi al servizio della maternità”, che tengano “nel dovuto conto il fatto che la donna ha un proprio modo di gestire le diverse realtà”. L’esempio portato dal capo del dicastero vaticano è il segno dell’attenzione posta dalla Chiesa alla questione. Se le migrazioni hanno un “volto femminile”, come recita il titolo del Convegno in Senegal, ciò significa che i governi – è questo l’auspicio della Chiesa – “devono rivedere le politiche e le regole che compromettono la tutela” dei loro diritti fondamentali, come “la lotta contro gli abusi sul lavoro e gli abusi sessuali, l’accesso ai servizi sanitari, all’alloggio, alla nazionalità, ai ricongiungimenti familiari e all’assistenza delle giovani madri”. Ci sono Paesi, ha constatato mons. Vegliò, nei quali “l’emigrazione femminile ha oramai superato” quella maschile. Di contro, ha affermato, “solamente 42 Stati” hanno ratificato la “Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie”, ovvero lo strumento internazionale di tutela per queste masse di persone in transito verso una nuova sistemazione.

Ben noti sono, purtroppo, i drammi che nascono dalle tante situazioni dove la tutela dei diritti è assente o solo sulla carta. Mons. Vegliò ha ricordato che i lavori comunemente assegnati alle donne immigrate sono di tipo domestico, o riguardano l’assistenza agli anziani o ai bambini. Tuttavia, in molti casi vengono “coinvolte nel lavoro sommerso, private dei diritti umani più elementari e a volte abusate nella sfera domestica”. Quattro milioni di donne nel mondo – la metà minorenni – arricchiscono il traffico della prostituzione per un giro d’affari, ha citato il presule, di 12 miliardi di dollari l’anno. Siamo davanti, ha detto, alla “terza attività illegale più redditizia al mondo, dopo il commercio di armi e di droga”. Mons. Vegliò ha riferito anche di “segni positivi” che danno forza alla speranza in un ambito spesso cupo per via, ha sottolineato, di “numerose difficoltà da superare, pregiudizi da vincere, principi e obiettivi da realizzare”. Da questo versante, ha assicurato, la Chiesa continuerà la sua opera di accoglienza dei migranti, mobilitandosi inoltre perché “la legislazione sulla libertà religiosa sia improntata ad uno spirito di correzione e di rispetto reciproco”. “L’insufficiente possibilità concreta di partecipazione sociale, politica e culturale che la società civile garantisce oggi alla donna – ha concluso – si ripercuote anche sulle nostre comunità cristiane, chiamate perciò a valorizzare prima di tutto i valori di riferimento, il vissuto quotidiano e la cultura della donna immigrata”.







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