La riscoperta dei documenti conciliari nelle riflessioni di padre Kowalczyk: aspetti
della riforma liturgica
La regolamentazione della liturgia non è responsabilità che attenga all'iniziativa
del singolo sacerdote. E', in sintesi, uno dei principi sanciti dalla Costituzione
Sacrosanctum Concilium, che nel 1963 inaugurò la stagione delle riforme conciliari
prodotta dal Vaticano II. Nel ciclo che la Radio Vaticana sta dedicando da alcune
settimane alla riscoperta del Concilio, il gesuita padre Dariusz Kowalczyk,
ritorna con una seconda riflessione su questo fondamentale documento:
Nella Costituzione
conciliare sulla liturgia sono state formulate le norme generali dell’ordinamento
liturgico di cui la prima afferma: “Regolare la liturgia compete all'autorità
della Chiesa […]. Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi,
di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica” (SC
22). Dunque, il Concilio – pur aprendo alla possibilità di una certa creatività liturgica
– era ben lontano da concepire la liturgia come opera dell’uomo. Infatti, rimane viva
l’affermazione di Pio XI: “La liturgia non è la didascalia di tale o tal altro individuo”.
Il
rapporto tra fede e liturgia è espresso dall'antica formula “lex orandi – lex credendi”:
l’azione liturgica presuppone la fede dei partecipanti mentre, il giusto modo di pregare
scaturisce dal corretto modo di credere. Quando Joseph Ratzinger dice quindi che si
deve arginare “la tendenza a mortificare la liturgia con invenzioni personali”, questo
ci suggerisce, fra l’altro, che egli scorge il pericolo di passare da una celebrazione
fantasiosa ad un non conforme modo di credere.
Il problema non è nuovo.
All’inizio del V secolo, il Papa Innocenzo I scrisse una lettera in cui deplorava:
“Ciascuno ritiene opportuno seguire non ciò che è stato tramandato, ma ciò che più
gli piace e questo porta scandalo presso il popolo”. E pure oggi, qualcuno pensa che
la liturgia sia tutta da fare poiché tutto deve nascere in maniera spontanea. Ma non
è così. Allo stesso tempo non è vero che tutto è stato già fatto, una volta per sempre.
L'interpretazione dei rubricisti che impone di ripetere soltanto ciò che è stato prescritto
nega la dimensione storica della Chiesa rivalutata dal Concilio Vaticano II.
Speriamo
che lo Spirito che ci guida alla verità tutta intera, ci dia la saggezza di seguire
la strada giusta tra i due estremi: il “tutto è fatto” e il “tutto è ancora da fare”.