Messa in San Pietro per i cristiani iracheni. Il cardinale Sandri: tutti alzino la
voce a difesa dei loro diritti
Una Messa di suffragio per le vittime dell’attacco del 31 ottobre scorso alla Cattedrale
siro-cattolica di Baghdad sarà presieduta oggi alle 17.00 nella Basilica Vaticana
dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
Durante l’attacco sono morte 58 persone, tra cui numerosi bambini, donne, anziani
e due sacerdoti che stavano celebrando la Messa domenicale. Al microfono di Hèlène
Destombes ascoltiamo il cardinale Sandri:
R. – Noi
vogliamo esprimere con questa celebrazione la nostra vicinanza, la nostra fratellanza
spirituale, attraverso la preghiera, a tutti questi nostri fratelli siro-cattolici,
in particolare ai familiari di quanti sono stati così barbaramente trucidati nella
Cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Vogliamo che questa vicinanza nella preghiera,
nel condividere il loro dolore, sia anche un messaggio, un messaggio per tutti, perché
i cristiani in Iraq siano difesi e sia protetto il loro diritto alla libertà religiosa.
Vogliamo anche sensibilizzare tutti gli uomini di buona volontà, anche a livello internazionale,
perché collaborino, alzino la loro voce e agiscano in maniera concreta a favore di
questi nostri fratelli.
D. – Questa celebrazione testimonia la preoccupazione
della Santa Sede per la situazione drammatica dei cristiani in Iraq…
R.
– Certo! Purtroppo, le notizie che vengono dall’Iraq a volte portano perfino ad una
assuefazione alla violenza che si verifica tutti i giorni. Non possiamo però entrare
in un atteggiamento di conformismo, di passività di fronte a questo. In particolare,
noi cattolici e cristiani, dobbiamo mobilitarci nella preghiera, nella solidarietà
e nella vicinanza, in modo del tutto particolare e forte, con questi nostri fratelli.
Quindi, vogliamo che questa nostra preoccupazione per i fedeli cristiani, che sono
praticamente esposti alla persecuzione, alla violenza, alla insicurezza, possa essere
superata nella convivenza di tutti, di tutte le religioni, con la presenza anche dei
cristiani, come parte integrante dell’identità civile e politica dell’Iraq.(ap)
La
situazione in Iraq resta drammatica. Il governatore di Ninive ha autorizzato i cristiani
di Mosul a possedere armi a scopo di difesa. I vescovi caldei, da parte loro, hanno
chiesto un intervento ufficiale alle autorità musulmane per chiarire che le violenze
anticristiane sono contrarie ai principi della religione islamica. La giornata politica
odierna fa tuttavia intravedere uno spiraglio sulla via della pace: il presidente
iracheno Talabani, stamani, ha ufficialmente incaricato il premier uscente, lo sciita
al Maliki, di formare il nuovo governo. Sulle prospettive nel Paese e sull’iniziativa
di preghiera e solidarietà in Vaticano per la comunità cristiana irachena, Sergio
Centofanti ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare del
Patriarcato caldeo di Baghdad:
R. – Ringraziamo
tutti quelli che ci fanno del bene e che pregano per noi. Ringraziamo Sua Santità,
che ci ricorda; ringraziamo il cardinale Bagnasco, e tutta la Cei, che hanno pregato
per noi domenica scorsa. Noi gridiamo per la pace e gridiamo “no” alla guerra.
D.
– I cristiani stanno vivendo un momento molto difficile, che dura da tanto tempo,
da troppo tempo...
R. – Certamente! Specialmente in questi ultimi mesi,
dopo l’attacco crudele contro la Cattedrale siro-cattolica di Baghdad; per le bombe
lanciate nelle case dei cristiani; per le bombe sistemate nelle macchine; per gli
assalti nelle case, con l’uccisione di giovani, a Mosul in particolare. Questo mette
paura ai giovani e per questo vogliono fuggire. Ammazzano la gente innocente, lasciano
i bambini senza genitori. I giovani dicono, quindi, che non c’è speranza e sono disperati
a causa di tutti questi attacchi. Che vita può essere questa? Non c’è pace, non c’è
sicurezza, non c’è lavoro, non ci sono infrastrutture: come possono vivere? Quindi,
purtroppo, il risultato è la fuga.
D. – Che cosa succederà quando,
dall’Iraq, andranno via le forze internazionali?
R. – Non posso dire
niente del futuro. Non so niente. Io semplicemente mi chiedo: perché sono venuti?
Sono venuti per darci la pace o per darci la guerra? Sono venuti qui per dare la libertà:
non la libertà di uccidere, ma la libertà di vivere insieme, tranquillamente. Sono
venuti per darci la pace! Non devono lasciarci, prima che la pace sia stabilita.
D.
– Al Maliki da oggi lavora per formare un nuovo governo. Quali sono le vostre speranze?
R.
– Preghiamo! Abbiamo solo la grande speranza che, se il governo si formerà, se la
legge verrà messa in pratica, torneranno la pace e la sicurezza.
D.
– Qualcuno ipotizza la creazione di una provincia cristiana in Iraq…
R.
– Parlo personalmente: non sono d’accordo. Io penso che tutti noi dobbiamo poter vivere
ovunque vogliamo. La creazione di una provincia cristiana significherebbe dividere
la nazione, separare, causare discordie e questo non va bene. Invece tutti dovrebbero
collaborare per costruire un unico Iraq. (ap)