2010-11-25 20:25:03

Il martirio segno di appartenenza a Cristo: così il cardinale Sandri alla Messa per le vittime dell’attacco alla Cattedrale di Baghdad


I cristiani debbono poter restare dove sono nati. Così ieri pomeriggio il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali alla Santa Messa di suffragio, in San Pietro, per le vittime dell’attacco terroristico del 31 ottobre alla Cattedrale di Baghdad, dove morirono 58 persone. La liturgia celebrata su iniziativa della Procura della Chiesa siro-cattolica di Roma e concelebrata insieme a Sua Beatitudine Youssef III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri ha voluto essere segno di vicinanza spirituale con la comunità cattolica irachena, impegnata nel perseguire pace e riconciliazione in tutto il Paese. Massimiliano Menichetti: RealAudioMP3

Una Basilica avvolta dalla commozione, ma anche dalla gioia, che affonda le radici nella certezza della vita dopo la morte, si è raccolta in preghiera nella Messa di suffragio per le vittime dell’attacco terroristico del 31 ottobre alla Cattedrale di Baghdad, dove hanno perso la vita 58 cristiani e 80 sono rimasti feriti. Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella sua omelia è entrato nel mistero salvifico del martirio intrecciando la testimonianza di santa Caterina d’Alessandria e Papa San Leone Magno, che diedero, in diverso modo ma totalmente, le proprie esistenze a Cristo. E volgendo il suo sguardo e la sua preghiera alle difficili situazioni che tanti cristiani vivono nel mondo ha rimarcato:

“Il pensiero, il cuore e la preghiera vanno in Iraq e in tante altre parti del mondo, dove in fedeltà al battesimo ancora ai giorni nostri si risponde col sangue a Colui che ci ha amati fino alla Croce”.

“Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli” - ha spiegato - "e nessun genere di crudeltà può distruggere una religione, che si fonda sul mistero della croce di Cristo".

“La Chiesa infatti non diminuisce con le persecuzioni, anzi si sviluppa, e il campo del Signore si arricchisce di una messe sempre più abbondante, quando i chicchi di grano caduti a uno a uno, tornano a rinascere e moltiplicarsi”

Poi nel raffronto tra l’adesione, la conformazione al Salvatore e la realtà drammatica di un Iraq dilaniato da conflitti e persecuzioni si è unito alle parole del Papa che, nell’Angelus del primo novembre scorso, ha pregato affinché “il sacrificio di questi fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita”. Quindi ha espresso gratitudine a quanti sono intervenuti alla liturgia. Ai numerosi ambasciatori appartenenti a diverse confessioni religiose, ha chiesto un’azione concreta presso i rispettivi governi, “per favorire ovunque la serena convivenza dei singoli e delle comunità per ridare al Vicino Oriente il suo volto multireligioso e multiculturale, civile e solidale”.

I cristiani debbono poter restare dove sono nati per offrire personalmente e attraverso le opere della Chiesa, senza alcuna discriminazione, il loro insostituibile contributo di carità sul piano educativo e culturale, assistenziale e sociale. Essi desiderano concorrere al progresso del loro amato Paese in generosa apertura verso i musulmani e tutti i loro connazionali.

Ribaltando il piano della vita e della morte nell’ottica salvifica di Cristo, il cardinale Sandri, ha illuminato le figure di padre Thaer e padre Wassim, i due sacerdoti morti nell’attacco a Baghdad, i quali si sono uniti al Salvatore del mondo con il proprio sangue incarnando ciò che al momento dell’ordinazione, il vescovo rivolge agli ordinandi, ovvero l’esortazione: "imitamini quod tractatis”, imita ciò che celebrerai.
E tornando ancora una volta alla tragica sera del 31 ottobre prima della preghiera per la pace dei cuori, totalmente rimessa nelle mani di Cristo, ha sottolineato:

Un turbine crudele ha tentato di soffocare l’amore di Dio, che li animava, ed essi lo hanno affrontato con le sole armi della fede, della speranza e della carità. Con la carne e col sangue hanno “annunciato la morte di Cristo e proclamato la sua risurrezione nell’attesa della sua venuta”. Si è avverata la promessa di Dio: “chi dona la sua vita, risorge nel Signore”
La situazione in Iraq resta drammatica. Il governatore di Ninive ha autorizzato i cristiani di Mosul a possedere armi a scopo di difesa. I vescovi caldei, da parte loro, hanno chiesto un intervento ufficiale alle autorità musulmane per chiarire che le violenze anticristiane sono contrarie ai principi della religione islamica. La giornata politica odierna fa tuttavia intravedere uno spiraglio sulla via della pace: il presidente iracheno Talabani, stamani, ha ufficialmente incaricato il premier uscente, lo sciita al Maliki, di formare il nuovo governo. Sulle prospettive nel Paese e sull’iniziativa di preghiera e solidarietà in Vaticano per la comunità cristiana irachena, Sergio Centofanti ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad:RealAudioMP3

R. – Ringraziamo tutti quelli che ci fanno del bene e che pregano per noi. Ringraziamo Sua Santità, che ci ricorda; ringraziamo il cardinale Bagnasco, e tutta la Cei, che hanno pregato per noi domenica scorsa. Noi gridiamo per la pace e gridiamo “no” alla guerra.

D. – I cristiani stanno vivendo un momento molto difficile, che dura da tanto tempo, da troppo tempo...

R. – Certamente! Specialmente in questi ultimi mesi, dopo l’attacco crudele contro la Cattedrale siro-cattolica di Baghdad; per le bombe lanciate nelle case dei cristiani; per le bombe sistemate nelle macchine; per gli assalti nelle case, con l’uccisione di giovani, a Mosul in particolare. Questo mette paura ai giovani e per questo vogliono fuggire. Ammazzano la gente innocente, lasciano i bambini senza genitori. I giovani dicono, quindi, che non c’è speranza e sono disperati a causa di tutti questi attacchi. Che vita può essere questa? Non c’è pace, non c’è sicurezza, non c’è lavoro, non ci sono infrastrutture: come possono vivere? Quindi, purtroppo, il risultato è la fuga.

D. – Che cosa succederà quando, dall’Iraq, andranno via le forze internazionali?

R. – Non posso dire niente del futuro. Non so niente. Io semplicemente mi chiedo: perché sono venuti? Sono venuti per darci la pace o per darci la guerra? Sono venuti qui per dare la libertà: non la libertà di uccidere, ma la libertà di vivere insieme, tranquillamente. Sono venuti per darci la pace! Non devono lasciarci, prima che la pace sia stabilita.

D. – Al Maliki da oggi lavora per formare un nuovo governo. Quali sono le vostre speranze?

R. – Preghiamo! Abbiamo solo la grande speranza che, se il governo si formerà, se la legge verrà messa in pratica, torneranno la pace e la sicurezza.

D. – Qualcuno ipotizza la creazione di una provincia cristiana in Iraq…
R. – Parlo personalmente: non sono d’accordo. Io penso che tutti noi dobbiamo poter vivere ovunque vogliamo. La creazione di una provincia cristiana significherebbe dividere la nazione, separare, causare discordie e questo non va bene. Invece tutti dovrebbero collaborare per costruire un unico Iraq.









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