Rapporto 2010 sulla libertà religiosa: cristiani perseguitati in molti Paesi dell'Asia
La libertà di religione in 194 Paesi del mondo viene fotografata nel “Rapporto sulla
libertà religiosa nel mondo 2010”, presentato stamani a Roma, e redatto da “Aiuto
alla Chiesa che soffre”. Un Rapporto che prende in considerazione i cinque continenti,
le diverse realtà di persecuzione nei confronti di tutte le religioni. Il servizio
di Debora Donnini.
Il 70 per
cento della popolazione mondiale vive in Paesi dove ci sono restrizioni o persecuzioni
a causa della religione professata. Lo afferma padre Giulio Albanese, missionario
comboniano, direttore di “Popoli e missione”, che ha moderato la presentazione del
Rapporto. India e Cina, per le loro proporzioni, i Paesi in cui si registrano più
casi: alcuni Stati dell’India sono tristemente noti per le aggressioni alle minoranze
e per riconversioni forzate all’induismo; in Cina permangono casi di repressioni e
arresti per tutte le religioni. Alla presentazione del Rapporto è stato affrontato
in particolare il problema della legge contro la blasfemia in Pakistan, con la testimonianza
del vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Coutts. Una legge che dall’’86
ad oggi ha causato l’incriminazione di 993 persone con l’accusa di avere profanato
il Corano o diffamato il profeta Maometto: fra queste, 479 erano musulmani, 340 ahmadi
– una setta che il governo non riconosce come musulmana – 120 cristiani, 14 indù e
10 di altre religioni. Non ci sono state condanne a morte, ma “la legge crea uno stato
di tensione - dice il vescovo - perché non sappiamo chi sarà accusato domani di blasfemia”.
E, tra l’altro, una trentina di persone in Pakistan sono state uccise senza processo
dagli estremisti solo per l’accusa. Anche se non c’è una persecuzione ufficiale la
situazione è, dunque, molto difficile. Al centro dei riflettori oggi anche la situazione
dei cristiani in Iraq con l’intervento di René Guitton, autore del libro
“Cristianofobia”: qui le comunità cristiane sono ormai sottoposte ad una sistematica
aggressione del terrorismo, che vuole eliminare la loro presenza nel Paese.(ap)
Al
microfono di Paolo Affatato, dell’agenzia Fides, il neo-nominato ambasciatore
della Repubblica Italiana presso la Santa Sede, Francesco Greco, si sofferma
sulla situazione della libertà di culto nel mondo:
R. - La libertà
di culto e la reciprocità di trattamento da parte degli Stati delle rispettive fedi
rappresenta, ovviamente, un tema particolarmente delicato. L’Italia si è sempre pronunciata
a favore di un maggiore impegno dell’Unione Europea e comunque dei governi europei
in quanto tali, per una maggiore protezione dei cristiani dagli atti di ostilità di
cui sono vittime in varie parti del mondo. Questo è un imperativo categorico per tutti
i Paesi membri dell’Unione Europea. E’ un imperativo di tipo laico: non si tratta
di proteggere qualcuno in quanto cristiano, ma si tratta di proteggere comunque un
principio e un diritto inalienabile dell’individuo. Per quanto riguarda la libertà
di culto, in alcuni Paesi del Medio Oriente è un argomento particolarmente difficile
da poter affrontare, ma in altri Paesi - sempre del Medio Oriente - si sono compiuti
dei giganteschi passi avanti e tutte le volte che ce n’è stata la possibilità i governanti
italiani si sono pronunciati a favore di tutto questo.
D. – Recentemente
il ministro degli Esteri, italiano, Franco Frattini, si è anche prodigato per una
Risoluzione alle Nazioni Unite sulla tutela della libertà di religiosa nel mondo...
R.
- Ciò fa parte di questo stesso spirito non soltanto per i naturali rapporti privilegiati
fra la Santa Sede e l’Italia, ma – indipendentemente da questo – c’è una lunga tradizione
italiana a favore di questo tema. Il cardinale Silvestrini, nel corso della presentazione
di un volume che ripercorreva i negoziati di Helsinki del 1975, ha ricordato che l’ambasciatore
della Germania orientale gli chiese: “Voi sareste favorevoli ad accettare tra i principi
di Helsinki anche quello della libertà di culto, intendendo con questo anche la libertà
di essere atei?”. Il cardinale Silvestrini gli rispose: “Ovviamente sì!”. Anche perché
tutto questo era già stato sancito in una precedente Enciclica e c’era già un atteggiamento
che consentiva alla Chiesa di accettare la libertà di culto in tutte le sue sfaccettature.
D. – Quali i rapporti con i Paesi islamici e con il mondo islamico?
R.
– Anche qui è la storia, è la geografica, è il presente, ma anche il passato, che
impongono all’Italia questo tipo di riflessione. Basti pensare al dibattito accesissimo
che c’è in Italia sul tema dell’immigrazione e basti pensare al fatto che l’immigrazione
è in misura molto forte da Paesi di religione musulmana. Quindi, dobbiamo anche fare
i conti con il discorso sul rapporto con altre religioni. Il rapporto tra due religioni
monoteiste, come il cristianesimo e l’islam, evidentemente è un rapporto che soffre
di un’eredità fatta di difficoltà, fatta di momenti particolarmente gravi e dolorosi.
Oggi noi lo dobbiamo storicizzare, cercando di coltivarlo in maniera serena ed equilibrata.
Le due cose non vanno disgiunte: il rapporto interculturale va di pari passo con il
rapporto interreligioso. L’esperienza di cinque anni che ho avuto come ambasciatore
in Indonesia, il Paese che ha la più elevata popolazione musulmana, qualcosa mi ha
insegnato: il compito di un diplomatico oggi è quello della gestione della diversità.