Il cardinale Tauran in missione in Pakistan per la liberazione di Asia Bibi
Sarà in Pakistan, domani, per sensibilizzare il governo locale sul caso di Asia Bibi
e sul tema dell’abrogazione della legge sulla blasfemia, il presidente del Pontificio
Consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran. Intanto,
nel Paese asiatico, il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, di fede cristiana,
ha rivelato di essere stato minacciato dagli estremisti. Il servizio di Roberta
Barbi:
L’annuncio
di un’imminente missione vaticana in Pakistan l’aveva dato ieri il cardinale segretario
di Stato Tarcisio Bertone, a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico della
Pontificia Università Lateranense, in cui aveva rinnovato l’appello in favore della
liberazione di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia e detenuta in un
carcere nei pressi di Lahore. Domani, quindi, il cardinale Tauran sarà in Pakistan,
dove incontrerà il ministro delle Minoranze, di fede cristiana. Proprio il ministro
ha preparato una relazione dettagliata sul caso per il presidente Zardari, il quale
esaminerà nei prossimi giorni la richiesta di grazia della donna. Il cardinale Bertone
ha anche ricordato che la Santa Sede, come numerosi altri governi, ha posto il problema
dell’abolizione della legge sulla blasfemia vigente in Pakistan, perché “i cittadini
e tra questi i credenti cristiani non possono essere accusati di reati che non hanno
consistenza”. Nel frattempo i partiti religiosi pakistani hanno fatto sapere di essere
fermamente contrari al rilascio di Asia Bibi, minacciando proteste a livello nazionale
e organizzando una giornata di mobilitazione contro “qualunque cospirazione per abolire
la legge sulla blasfemia”.
Ma in che cosa consiste la legge sulla blasfemia,
in vigore in Pakistan dagli anni ’80? Giancarlo La Vella ne ha parlato con
Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica e Storia delle Civiltà all’Università
Cattolica di Milano:
R. – E’ una
legge paradossale, assurda. E’ nata nella fase di islamizzazione del Pakistan negli
anni ’80. Questa legge si sta rivelando un’arma di pressione, di minaccia, di ricatto,
di punizione per i cristiani ma non solo, per tutte le minoranze religiose o anche
per comunità un po’ in difficoltà. Si tratta di una legge che permette la condanna
automaticamente a morte di individui o di gruppi di famiglie responsabili di avere
bestemmiato il nome di Allah o del profeta Maometto: basta la testimonianza orale
di quattro testimoni, possibilmente maschi musulmani, e la condanna è automatica.
Ovviamente tutto ciò diventa un’arma di vendetta personale, diventa un’arma di pressione,
di ricatto: “Vuoi vendermi il campo? No, non te lo vendo. Allora io vado da un giudice
religioso e gli dico che tu hai bestemmiato”. In questo caso, tu non hai difese, la
condanna è certa. Poi - come sempre è avvenuto in passato - il presidente interviene
per evitare l’impiccagione; però devi abbandonare il Paese, la tua famiglia viene
picchiata, minacciata, tu subisci violenze, sevizie, ci sono attacchi, vengono bruciate
le case delle minoranze …
D. - Professare apertamente la propria religione
che non sia l’islam fa ricadere nell’ambito della legge contro la blasfemia o no?
R.
– No. In Pakistan ci sono scuole cattoliche e cristiane, ci sono chiese. Quindi professare
la religione non è reato. Quello che è reato - e il confine è molto labile - è il
proselitismo. Conosco molto bene le scuole cattoliche pakistane e sono sempre molto
attente a non prestare il fianco all’accusa di proselitismo, sancito con la morte
dalla sharia: ad esempio, mai prestare una Bibbia, un Vangelo a un musulmano che te
la chiede, perché poi ti accusa di aver fatto proselitismo.
D. – A questo
punto ci sono possibilità, sempre attraverso questa legge, per liberare la donna?
R.
– Io ho scritto qualche giorno fa su Avvenire che ero sicuro che la donna non sarebbe
stata giustiziata. Il governo e il presidente del Pakistan intervengono sempre per
graziare. Ma attenzione: cosa significa la grazia? Non significa che Asia Bibi possa
tornare alla sua famiglia, alla sua vita di sempre. Questa donna dovrà abbandonare
il Paese. Le sue figlie sono state oggetto di minaccia e anche la sua famiglia dovrà
probabilmente abbandonare il Paese. Quando ci sarà la grazia formale - come sempre
accade in questi casi - ci saranno probabilmente attacchi da parte di islamisti o
di folle incitate dagli islamisti contro case, negozi, chiese, scuole. Avviene sempre
così. Asia Bibi sarà comunque una vittima di una macroscopica ingiustizia. Sarà graziata,
ma non liberata: dovrà sempre vivere una vita da profuga o da esule. (bf)