Israele: sarà sottoposto a referendum ogni modifica sulla sovranità territoriale
La Knesset, il Parlamento israeliano, ha adottato la proposta di legge che impone
di svolgere un referendum popolare confermativo per eventuali decisioni di ritiro
da aree dove è stata estesa la legge israeliana, come Gerusalemme Est e le alture
del Golan. Secondo diversi osservatori, il sottoporre decisioni del genere al giudizio
della popolazione si potrebbe tradurre in ulteriori ostacoli per il processo di pace
con i palestinesi, attualmente in forte difficoltà. Sugli aspetti tecnici e politici
della legge, ascoltiamo Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente, intervistato
da Giancarlo La Vella:
R. – Dal
punto di vista tecnico, la legge approvata parla dei territori ufficialmente annessi
a Israele: Gerusalemme Est e le alture del Golan. Il discorso sul referendum non vale
per la Cisgiordania. Per cui, qualsiasi aggiustamento sui confini dello Stato palestinese
che riguardi la Cisgiordania è fuori da questa legge. Dal punto di vista politico
è una scelta che dà l’idea della debolezza della leadership israeliana di oggi. E’
una decisione che va letta all’interno di questo negoziato molto lungo sui rapporti
di forza all’interno del governo Netanyahu. Questa proposta del referendum era voluta
da tempo dall’ala destra del governo per mettere in qualche modo sotto tutela Netanyahu
e, soprattutto, il suo ministro della difesa Barak, rispetto ai negoziati che erano
cominciati a Washington e che adesso sono in fase di stallo.
D. – Quindi,
decisivo il riflesso che avrebbe un referendum sul discorso degli insediamenti. A
questo punto è importante sapere come è orientata l’opinione pubblica israeliana su
questo argomento …
R. – L’opinione pubblica israeliana, soprattutto
su Gerusalemme Est, è fortemente contraria a qualsiasi cessione di sovranità. Sulla
questione degli insediamenti più in generale, il discorso è molto più aperto: cioè,
dipende molto dal tipo di proposta che verrà presentata. E’ certo che un provvedimento
del genere rappresenterebbe una spada di Damocle in qualsiasi negoziato: un premier
che dovesse un giorno firmare un accordo di pace con la Siria o con i palestinesi
relativo a Gerusalemme, dovrebbe affrontare con un voto - e quindi con un sì o con
un no - una questione ovviamente delicata, ma anche abbastanza impopolare all’interno
dell’opinione pubblica israeliana.
D. - Secondo alcuni osservatori questa
legge rappresenta una sorta di escamotage da parte dell’attuale governo israeliano
per evitare responsabilità dirette in qualsiasi tipo di decisione …
R.
– Questo, sì. E’ l’ennesimo specchio di una situazione in grande movimento all’interno
del quadro politico israeliano. Se il processo di pace dovesse andare avanti con la
formulazione - su cui Netanyahu sta negoziando con Obama - del prolungamento di tre
mesi del blocco degli insediamenti e quindi con una formula che in qualche modo sia
accettabile anche per i palestinesi, questo avrà come conseguenza un cambio di maggioranza
all’interno del parlamento israeliano. Questo provvedimento va letto anche alla luce
di questo processo. Insomma, è un modo che ha usato Netanyahu per cercare di tenere,
in qualche modo, attaccata alla sua maggioranza l’ala destra del governo. Ma non è
detto che questa scelta basti. (bf)