2010-11-19 15:03:25

Usa: rapporto del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa nel mondo


Preoccupazione per il deterioramento della libertà religiosa in molti Paesi del mondo, comprese alcune nazioni europee dove sono state prese «severe misure» che limitano l'espressione della fede di una precisa comunità: a esprimerla sono gli Stati Uniti nel rapporto annuale sulla libertà religiosa internazionale presentato ieri dal segretario di Stato, Hillary Clinton, assieme al responsabile per la democrazia, i diritti umani e il lavoro del Dipartimento, Michael Posner. «La libertà religiosa — ha detto la Clinton — è allo stesso tempo un diritto umano fondamentale e un elemento essenziale per una società salda, pacifica e prospera». Il dossier ripreso da L'Osservatore Romano, cita la Corea del Nord, l'Iran, il Myanmar, la Cina, il Sudan, l'Eritrea, l'Arabia Saudita e l'Uzbekistan come i Paesi dove con più frequenza si verificano episodi che mettono a serio repentaglio il rispetto della libertà religiosa, quando non la violano in maniera palese. Ma cita anche la Svizzera, che ha vietato la costruzione di nuovi minareti, la Francia, dove una legge proibisce di indossare il velo islamico integrale nei luoghi pubblici, il Belgio e i Paesi Bassi, dove potrebbe essere presto votato un analogo provvedimento. «Diverse nazioni europee hanno messo in atto dure restrizioni della manifestazione religiosa», ha sottolineato Hillary Clinton, secondo la quale «il persistente danno morale provocato dall'intolleranza e dalla diffidenza» potrebbe essere pregiudizievole per la libertà religiosa tanto quanto le azioni di Governi autoritari o gruppi estremistici. Anche Posner ha espresso preoccupazione per le crescenti tensioni in Europa e invitato i governi a proteggere i diritti dei musulmani e delle altre minoranze religiose dal malumore dell'opinione pubblica nei confronti dell'islam. Il rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense è redatto da giornalisti, accademici, organizzazioni non governative, associazioni per i diritti umani e gruppi religiosi. Oltre alla lista, si espongono nel dettaglio miglioramenti e peggioramenti registrati negli ultimi dodici mesi, soprattutto nelle nazioni «a rischio». Ecco allora che se in Iran e nel Myanmar si segnala un incremento della repressione religiosa, in Indonesia ci sono incoraggianti progressi, nonostante i cristiani restino un facile bersaglio degli estremisti musulmani. Negli otto Paesi citati all'inizio, la violazione della libertà religiosa è comunque la norma, con evidenti resistenze, della classe dirigente, davanti alle richieste dei diplomatici Usa di cambiare indirizzo. La Corea del Nord, che secondo gli Stati Uniti ha tra le 150.000 e le 200.000 persone detenute come prigionieri politici (alcune anche per motivi religiosi), compare nella cosiddetta «lista nera» dal 2001, e negli ultimi tempi il Governo avrebbe incrementato l'investigazione e la persecuzione dei gruppi confessionali non autorizzati. L'Iran e l'Arabia Saudita sono entrambi censurati per l'atteggiamento estremamente discriminatorio nei riguardi dei non musulmani, mentre la Cina è menzionata per le continue repressioni in Tibet nei confronti dei seguaci del Dalai Lama e nella zona occidentale della provincia dello Xinjiang Uygur, dove si è registrata un'ondata di violenza dopo la soppressione delle proteste inscenate dalla comunità musulmana. Il dossier segnala inoltre che nel Myanmar il regime militare ignora garanzie costituzionali legate alla libertà di religione e reprime sistematicamente gli sforzi del clero buddista per la promozione dei diritti umani. In Sudan la Costituzione riconosce la libertà di religione in tutto il Paese, ma in pratica l'islam è favorito nel nord, dominato dai musulmani. L'Uzbekistan «prosegue la campagna contro i membri dei gruppi religiosi non autorizzati, arrestati e condannati a lunghe pene detentive», mentre l'Eritrea non ha ancora reso effettiva la Costituzione del 1997 che prevede la libertà religiosa. Sotto costante osservazione restano Afghanistan, Pakistan, Iraq, ma anche Cuba e Venezuela. (L.Z.)







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