Usa: rapporto del Dipartimento di Stato sulla libertà religiosa nel mondo
Preoccupazione per il deterioramento della libertà religiosa in molti Paesi del mondo,
comprese alcune nazioni europee dove sono state prese «severe misure» che limitano
l'espressione della fede di una precisa comunità: a esprimerla sono gli Stati Uniti
nel rapporto annuale sulla libertà religiosa internazionale presentato ieri dal segretario
di Stato, Hillary Clinton, assieme al responsabile per la democrazia, i diritti umani
e il lavoro del Dipartimento, Michael Posner. «La libertà religiosa — ha detto la
Clinton — è allo stesso tempo un diritto umano fondamentale e un elemento essenziale
per una società salda, pacifica e prospera». Il dossier ripreso da L'Osservatore Romano,
cita la Corea del Nord, l'Iran, il Myanmar, la Cina, il Sudan, l'Eritrea, l'Arabia
Saudita e l'Uzbekistan come i Paesi dove con più frequenza si verificano episodi che
mettono a serio repentaglio il rispetto della libertà religiosa, quando non la violano
in maniera palese. Ma cita anche la Svizzera, che ha vietato la costruzione di nuovi
minareti, la Francia, dove una legge proibisce di indossare il velo islamico integrale
nei luoghi pubblici, il Belgio e i Paesi Bassi, dove potrebbe essere presto votato
un analogo provvedimento. «Diverse nazioni europee hanno messo in atto dure restrizioni
della manifestazione religiosa», ha sottolineato Hillary Clinton, secondo la quale
«il persistente danno morale provocato dall'intolleranza e dalla diffidenza» potrebbe
essere pregiudizievole per la libertà religiosa tanto quanto le azioni di Governi
autoritari o gruppi estremistici. Anche Posner ha espresso preoccupazione per le crescenti
tensioni in Europa e invitato i governi a proteggere i diritti dei musulmani e delle
altre minoranze religiose dal malumore dell'opinione pubblica nei confronti dell'islam.
Il rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense è redatto da giornalisti,
accademici, organizzazioni non governative, associazioni per i diritti umani e gruppi
religiosi. Oltre alla lista, si espongono nel dettaglio miglioramenti e peggioramenti
registrati negli ultimi dodici mesi, soprattutto nelle nazioni «a rischio». Ecco allora
che se in Iran e nel Myanmar si segnala un incremento della repressione religiosa,
in Indonesia ci sono incoraggianti progressi, nonostante i cristiani restino un facile
bersaglio degli estremisti musulmani. Negli otto Paesi citati all'inizio, la violazione
della libertà religiosa è comunque la norma, con evidenti resistenze, della classe
dirigente, davanti alle richieste dei diplomatici Usa di cambiare indirizzo. La Corea
del Nord, che secondo gli Stati Uniti ha tra le 150.000 e le 200.000 persone detenute
come prigionieri politici (alcune anche per motivi religiosi), compare nella cosiddetta
«lista nera» dal 2001, e negli ultimi tempi il Governo avrebbe incrementato l'investigazione
e la persecuzione dei gruppi confessionali non autorizzati. L'Iran e l'Arabia Saudita
sono entrambi censurati per l'atteggiamento estremamente discriminatorio nei riguardi
dei non musulmani, mentre la Cina è menzionata per le continue repressioni in Tibet
nei confronti dei seguaci del Dalai Lama e nella zona occidentale della provincia
dello Xinjiang Uygur, dove si è registrata un'ondata di violenza dopo la soppressione
delle proteste inscenate dalla comunità musulmana. Il dossier segnala inoltre che
nel Myanmar il regime militare ignora garanzie costituzionali legate alla libertà
di religione e reprime sistematicamente gli sforzi del clero buddista per la promozione
dei diritti umani. In Sudan la Costituzione riconosce la libertà di religione in tutto
il Paese, ma in pratica l'islam è favorito nel nord, dominato dai musulmani. L'Uzbekistan
«prosegue la campagna contro i membri dei gruppi religiosi non autorizzati, arrestati
e condannati a lunghe pene detentive», mentre l'Eritrea non ha ancora reso effettiva
la Costituzione del 1997 che prevede la libertà religiosa. Sotto costante osservazione
restano Afghanistan, Pakistan, Iraq, ma anche Cuba e Venezuela. (L.Z.)