Attesa mondiale per "Harry Potter e i doni della morte", film buio e pessimista
Esce venerdì prossimo, in Italia e nel mondo, l’attesa prima parte del settimo e ultimo
capitolo della saga di Harry Potter e le sue magie: “Harry Potter e i doni della morte”
è un film cupo, buio, nel quale i tre giovani protagonisti si trovano soli e impauriti
ad affrontare nemici, inganni e pericoli d’ogni sorta. Il servizio di Luca Pellegrini:
“Che c’è
che non va? Che non va? Non c’è niente che non va. Non secondo te, comunque. Senti,
se hai qualcosa da dire non essere timido. Sputa fuori. D’accordo, sputerò
fuori, ma non aspettarti la mia gratitudine solo perché ora c’è un’altra dannata cosa
da trovare! Credevo sapessi a cosa andavi incontro... Sì, lo credevo
anch'io”.
Loro credevano: Harry, Hermione e Ron. Credevano che la battaglia
contro il nemico malefico, il signore della morte, Lord Voldemort, non li obbligasse
a dover percorrere strade così impervie, insicure, infide. L'ultimo capitolo cinematografico
della saga magica - che tanto successo e tanti incassi ha prodotto nel mondo del cinema,
della letteratura e dell'intrattenimento - suddiviso in due parti, per eccesso di
materiali e di fantasia (la prossima in uscita a luglio), è attraversato da venature
di un profondissimo pessimismo, da un fitto buio dell'umore. Non ci sono giochi, non
c'è cameratismo, non gioioso stupore. Anche la magia non assicura più la vittoria
e la protezione, nulla può contro la cattiveria, il tradimento, l'odio, il desiderio
di distruzione dell'avversario e di ciò che rappresenta. Sembra sia necessario il
recupero di sentimenti e virtù più in sintonia col cuore umano, sia necessario riporre
fiducia più in se stessi e nelle proprie qualità, piuttosto che nella sola efficacia
di una bacchetta magica o misteriose pozioni. Questa volta il percorso dei tre eroi,
cresciuti e perturbati, è frastagliato, disseminato di pericoli. Per questo non solo
devono fronteggiare gli avversari, in scene che distillano paure e inquietudini poco
consone al pubblico infantile, ma anche devono combattere in se stessi le tentazioni,
le divisioni, le insicurezze. Sì, litigano e si dividono, i tre maghetti, e non sanno
più dove andare e a chi chiedere aiuto. Sono in continua fuga, soli, abbandonati,
inseguiti.
Questo senso di isolamento, di frustrazione, di perduta
meta, è insieme il pregio drammatico e il difetto cinematografico del film, che non
riesce a trovare un costante equilibrio nella sceneggiatura e nella regia di David
Yates: il pellegrinaggio alla scoperta degli strumenti con i quali distruggere il
perfido nemico - e si scoprirà che sono addirittura i cosiddetti "doni della morte"
- è un percorso non sempre vivace, stringato, avvincente, drammaticamente persuasivo.
Molti dei personaggi che hanno illuminato le precedenti puntate grazie all'interpretazione
di splendidi attori anglosassoni, ora sono confinati a poche battute, fugaci apparizioni.
Mentre tensioni, inaspettati misteri e magie, sono diluiti come se tutti gli elementi
della Rowling, che in un libro trovano misura e compendio, dovessero per forza entrare
sul set, appesantendo però il risultato. Capitolo preparatorio, si dirà, verso lo
scontro finale e verso l'ultimo film dedicato a Potter, col ripianto annunciato dei
fan e degli studios, già a caccia di nuove, magiche avventure, che sarà, comunque,
difficile eguagliare.