Perù: si riaccende il dibattito sulla fecondazione in vitro
“Un chiaro esempio della logica terribile che introduce la riproduzione assistita:
il figlio diventa una merce”: così Carlos Polo, direttore per l’America Latina del
Population Research Institute, ha commentato la vicenda avvenuta in Perù, in cui una
coppia di genitori, che, ricorsi alla fecondazione in vitro, hanno avuto una bambina
affetta da sindrome di Down, hanno chiesto un risarcimento alla struttura sanitaria
cui si erano rivolti. “Il legittimo e meraviglioso desiderio di genitorialità – riferisce
L’Osservatore Romano – sta divenendo, con la procreazione in vitro, un mero processo
commerciale, in cui il bambino, una persona latrice di diritti inviolabili, è ridotto
a cosa manipolabile, a oggetto in vendita”. Il direttore insiste sul tema, sostenendo
che queste pratiche “aprono alla logica dell’aborto”. “Per produrre un embrione sano
– dice – se ne sopprimono molti altri che diventano materiale di scarto”. Il numero
di embrioni sacrificato nelle tecniche di fecondazione in vitro, infatti, si aggira
intorno all’80% e l’embrione umano “ha fin dall’inizio la dignità propria della persona”.
“La Chiesa condanna con forza le tecniche di controllo delle nascite che agiscono
dopo la fecondazione, quando l’embrione è già costituito e in particolare ritiene
moralmente illecita l’eliminazione volontaria degli embrioni – ha ricordato Gloria
Adaniya, presidente del Center for family - nel campo della procreazione, considera,
invece, lecite tutte le tecniche che rispettano il diritto alla vita e all’integrità
fisica di ogni essere umano, così pure gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli
che si oppongono alla fertilità naturale”. (R.B.)