Mons. Liberati sul sito archeologico di Pompei: necessario un uso intelligente dei
fondi
Trentamila sono stati i fedeli che hanno raggiunto il Santuario di Pompei per ricordare
il 135.mo anniversario dell'arrivo dell'icona della Vergine del Rosario. Racconta
la tradizione che fu il beato Bartolo Longo a far pervenire qui un'immagine raffigurante
la Madonna del Rosario, donatagli da una suora del convento del Rosariello a Napoli.
Luogo di numerosi miracoli, vi nacque il Santuario, meta, ogni anno, di quattro milioni
di pellegrini da tutto il mondo. Quest’anno l’evento è coinciso con la bufera che
si è scatenata con il crollo della Schola Armaturarum nel sito archeologico
della città vesuviana. Tra una ventina di giorni – fanno sapere al Ministero per i
Beni Culturali – saranno disponibili i risultati dell’ispezione in corso nell’area.
Da Pompei, dove era in visita giovedì scorso, la Commissione Cultura della Camera
ha chiamato in causa la necessità di maggiori fondi e sicurezza da garantire al sito
in degrado. L’Ue fa sapere che è disposta a dare il suo sostegno per le operazioni
di restauro. Il servizio di Antonella Palermo:
Per accogliere
nella maniera più adeguata le migliaia di pellegrini che giungono a Pompei, il Santuario,
per iniziativa dell’arcivescovo della città campana, mons. Carlo Liberati, sta subendo
da qualche mese una vasta opera di ristrutturazione. Ma l’apprensione si concentra
in questi giorni su quanto accaduto negli scavi di Pompei. Ascoltiamo a questo proposito
l’auspicio espresso dallo stesso mons. Carlo Liberati:
“Forse
è bene pensare ad un uso intelligente dei fondi: 25 milioni di euro all’anno. Dove
finiscono? Finiscono tutti nelle casse dello Stato? Non bastano i periti storici o
archeologici, ci vogliono dei tecnici, operatori dell’organizzazione museale, che
curino anche la fruibilità e soprattutto il senso del bene comune. Pompei non può
essere abbandonata a questa lentezza, come qualche volta invece avviene”.
“Che
la Vergine illumini gli amministratori chiamati a proteggere e gestire gli scavi di
Pompei, il tesoro più grande per tutta la regione”, ha pregato il sindaco Claudio
D’Alessio. Mentre notizie di ulteriori crolli si diffondono in maniera talvolta
incontrollata, il progettista del restauro del complesso adiacente all’armeria
dei Gladiatori chiarisce che “la parete venuta giù, perché schiacciata dal crollo
del solaio della Schola, faceva parte della Casa del Moralista”. Antonio
De Simone, docente di Archeologia all’università, Suor Orsola Benincasa
di Napoli, pone sotto accusa proprio certe tecniche di restauro, che fin dagli anni
trenta, hanno fatto uso del cemento, per di più di cattiva qualità, materiale non
permeabile, poco durevole e pesante:
R. - Io per la verità non mi scandalizzo
tanto per il crollo.
D. – E di cosa?
R. – Noi abbiamo
avuto, negli ultimi 35 anni, l’alterazione complessiva e progressiva di un equilibrio
abbastanza delicato, che riusciva a garantire una conservazione non ottimale, ma certamente
migliore di quella attuale. Anche la migliore delle manutenzioni non potrebbe in toto
scongiurare il rischio di qualche pericolo del genere, pur dovendo ammettere che,
secondo me, ci sono delle carenze e delle lacune notevoli in una manutenzione ordinaria,
che è la forma più soddisfacente e più corretta di restauro. E’ questo che in tanta
parte ha determinato il crollo, secondo me.
D. – Le soluzioni?
R.
– Le soluzioni non sono né immediate né in tempi brevi. Bisognerebbe avere la possibilità
di elaborare un piano unico, all’interno del quale si sappia quello che è stato fatto
e quello che resta da fare. Quello che resta da fare lo vai a pianificare come fattibile
entro un certo periodo e, contemporaneamente, laddove si è operato, si comincia già
con delle manutenzioni ordinarie. Tutto questo obbliga ad un’ispezione continua.(ap)