I finiani ufficializzano l'uscita dal governo Berlusconi. Il Pdl: è tradimento
In Italia sono state presentate in fine mattinata le annunciate dimissioni di 4 esponenti
del governo legati al presidente della Camera Fini, dimissioni che hanno di fatto
aperto la crisi di governo. E si parla di elezioni. Berlusconi, in caso di sfiducia,
intende far votare solo per la Camera. Da parte sua Fini parla di classe dirigente
senza dignità. Il Partito democratico (Pd) chiede che la mozione di sfiducia alla
Camera sia votata prima della mozione di fiducia al Senato. Il servizio di Fausta
Speranza:
Il vice-ministro
Adolfo Urso,coordinatore di Futuro e libertà (Fli); il ministro
Andrea Ronchie i sottosegretari Menia e Buonfiglio. Questi i
4 esponenti politici legati al presidente della Camera, Fini, che presentando le loro
lettere di dimissioni aprono alla crisi. Si palesa la possibilità di un ritorno alle
urne ma c’è l’ipotesi fatta ieri dal presidente del Consiglio Berlusconi di votare
solo alla Camera in caso di sfiducia a Montecitorio. Critici Pdl ed esecutivo nei
confronti dei finiani. “Con il ritiro della delegazione dal governo si sta consumando
il tradimento”, ha detto ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, mentre Fabrizio Cicchitto,
capogruppo del Pdl alla Camera, ha parlato di “grave errore politico” di Fli. Il
presidente della Camera Fini ha partecipato stamane alla presentazione del rapporto
“L'Italia che c'è”, dell'associazione 'Italia decide' presieduta da Luciano Violante,
di fronte al Capo dello Stato Giorgio Napolitano ed al sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio Gianni Letta. In questa occasione pubblica Fini ha detto che “tra le
responsabilità della classe dirigente c'è anche quella di aver smarrito quel senso
della dignità, della responsabilità e del dovere che dovrebbero essere proprie di
chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche”. Ha parlato anche il sottosegretario
Letta: “Il Paese – ha detto - ritrovi maggiore consapevolezza di sé e dei propri problemi,
uscendo dagli schemi di divisioni e dalle contrapposizioni esasperate”. In questo
contesto politico resta da dire che si palesa l’alleanza già intravista per il Terzo
polo: tra Futuro e Libertà per l’Italia di Fini, Unione di Centro di Casini (Udc)
e l'Alleanza per l’Italia di Rutelli (Api).
Crisi-Irlanda “È
chiaro che ci sono tensioni sui mercati e che la situazione è seria”, ma per il momento
“non c'è nessuna richiesta di assistenza finanziaria da parte dell'Irlanda, nessuna
necessità imminente. E parlare di negoziati in corso è un'esagerazione”: lo ha detto
il portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Secondo
quanto riferisce Bloomberg, un eventuale salvataggio dell'Irlanda potrebbe costare
tra i 60 e gli 80 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Intanto Dublino continua
a ribadire che “non ha bisogno” di soldi e che “non ha obblighi di rimborso” fino
all'estate prossima. Secondo quanto scrive l'Irish Independent, Dublino potrebbe rivolgersi
all'Unione europea per ottenere risorse dal fondo di emergenza per sostenere le proprie
banche ed evitare così il salvataggio del Paese da parte della comunità internazionale.
Secondo il quotidiano irlandese, il ministro delle Finanze, Brian Lenihan, chiederà
ai colleghi europei domani a Bruxelles di poter accedere ai fondi Ue solo per salvare
le banche irlandesi.
In Francia nuovo governo di Fillon Si sposta
a destra il nuovo governo voluto dal presidente francese Sarkozy, ancora una volta
guidato da Fillon. Nel rimpasto nessun cambio per i ministri di Finanze e Interno,
mentre il titolare degli Esteri ex socialista Kouchner è stato sostituito dalla gollista
Michelle Alliot-Marie. L'ex premier Juppè ha assunto il dicastero della Difesa; al
Lavoro Bertrand prende il posto di Woerth, coinvolto nello scandalo Bettencourt.
In
Grecia nel secondo turno delle amministrative vincono i socialisti Importante
affermazione dei socialisti del premier greco Papandreou nel secondo turno delle elezioni
amministrative, caratterizzato però da una forte astensione. La maggior parte delle
regioni sono state strappate al centro-destra compresa la capitale Atene. Papandreou,
escludendo quindi il voto anticipato, ha esortato tutti a collaborare per “salvare
e cambiare la Grecia”.
In Afghanistan scontri tra forze di sicurezza e talebani:
17 morti Un commando di talebani ha attaccato un ripetitore della telefonia
mobile nell'Afghanistan settentrionale, ingaggiando con le forze di sicurezza afghane
una battaglia che ha causato 17 morti. L’attacco è avvenuto nella provincia di Kunduz
e le vittime sono nove soldati, un agente di polizia e sette militanti. Il servizio
di Barbara Schiavulli:
Nel mirino
un’antenna di telefonia mobile: i talebani, decisi a distruggerla, hanno ingaggiato
uno scontro a fuoco con i militari afghani a Kunduz, provincia settentrionale dell’Afghanistan,
sotto il controllo delle truppe tedesche. Le antenne telefoniche sono diventate un
obiettivo dei talebani da quando hanno bandito l’uso dei cellulari di notte nelle
aree che controllano, per non essere rintracciati dalle forze di sicurezza internazionali.
Sul terreno, morti almeno nove soldati, un poliziotto e sette militanti. Una guerra
che non conosce tregua: solo ieri un ordigno aveva ucciso altri tre poliziotti nella
provincia centrale dell’Uruzgan; e i due soldati americani nell’Est portano a sette
i militari stranieri rimasti uccisi nelle ultime 24 ore. Scontri anche tra le autorità.
Deluso e stupito il generale Petraeus, comandante delle forze Nato e americane: “Karzai
minaccia gli sforzi e il successo di questa guerra” ha ribattuto, commentando la richiesta
del presidente afghano di ridurre le operazioni militari, perché interferiscono nella
vita degli afghani.
In Pakistan ennesimo attacco ai comitati antitalebani Un
ordigno esplosivo è stato attivato a Peshawar, nel nord-ovest del Pakistan, vicino
alla casa di Abdul Malik, ex presidente del locale Comitato per la pace, ucciso lo
scorso anno in un attentato. Molti i feriti. Nelle ultime due settimane si sono moltiplicati
gli attacchi a membri del Comitato, ostile all'attività dei talebani. Intanto il Pakistan
ha chiesto alla comunità internazionale di annullare il suo debito di 50 miliardi
di dollari per poter in questo modo concentrare le risorse del Paese nella lotta al
terrorismo e ad altre priorità sociali. Lo riferiscono oggi i media ad Islamabad.
Durante l'inaugurazione del Pakistan Development Forum, il ministro dell'Interno,
Rehman Malik ha ricordato che “l'inserimento del Pakistan nel 2001 nella guerra al
terrore" ha avuto per loro "costi altissimi”. Dopo aver assicurato che ogni giorno
circa 50 mila persone attraversano la frontiera in provenienza dall'Afghanistan, Malik
ha detto che la cancellazione del debito permetterebbe di usare risorse finanziarie
per combattere il terrorismo che viene in Pakistan da oltre frontiera”. La Banca mondiale
e la Banca asiatica per lo sviluppo hanno stimato in 10,5 miliardi di dollari i danni
sofferti dal Pakistan a causa dell'ondata di maltempo e che per la ricostruzione sarebbero
necessari 6,7 miliardi di dollari.
Non violenza e dialogo: Aung San Suu
Kyi parla della via per la democrazia Intraprendere la strada verso la democrazia,
attraverso la non violenza e il dialogo con il regime del Myanmar. Dopo il termine
degli arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi riprende l’attività politica, parlando
ai suoi sostenitori, per una svolta concreta nel Paese. La leader della disciolta
Lega per la Democrazia, in queste prime ore di libertà cerca di ricompattare attorno
al suo movimento il fronte delle opposizioni, ritenendo che sia necessario un cammino
comune. Su questi aspetti ascoltiamo il commento del collega Stefano Vecchia,
esperto di Estremo Oriente, intervistato da Salvatore Sabatino:
R. – La lotta
prosegue e proseguirà, però sempre in modo non violento. Anche per questo, per evitare
questi contrasti, che possono poi portare a reazioni contro il regime ed anche a manifestazioni
importanti e quindi ad una reazione anche violenta, ha chiesto l’unità di tutte le
opposizioni. La Lega nazionale per la democrazia si pone comunque al centro, però
esiste tutta una serie di altri movimenti di opposizione che vanno riconosciuti e
con i quali occorre collaborare in un’ottica di riconciliazione nazionale.
D.
– Aung San Suu Kyi è la leader di una Lega che, di fatto, non esiste perché sciolta
dalle autorità. Che tipo di valore può avere, oggi?
R. – Non esiste
più dal punto di vista legale ma è un movimento che ancora esiste, con una propria
sede. E proprio questa mattina San Suu Kyi si è recata nella sede del partito per
incontrare il team di legali e vedere come agire sulla risoluzione voluta dal regime.
Una risoluzione che non è del tutto legale neppure in base alla Costituzione che il
regime stesso si è dato due anni fa. Ci sono quindi possibilità di manovra per cui
questa decisione di cancellazione del partito venga cancellata e su questo Aung San
Suu Kyi si sta muovendo, cosciente che la Lega nazionale per la democrazia resta ancora
il riferimento principale del movimento democratico.
D. – Da segnalare
che le autorità, in questo momento, sono in silenzio. Perché?
R. – La
ragione principale è che probabilmente aspettano le mosse di Aung San Suu Kyi. Quindi
è importante tener presente anche quale effetto avrà, proprio in concreto, sulle opposizioni.
Evidentemente c’è chi paventa una reazione violenta del regime che potrebbe capitare
nel momento in cui lei iniziasse veramente a viaggiare per il Paese - come ha promesso
di fare - e parlare con la sua gente.
Marocco e Fronte Polisario danno
bilanci diversi degli incidenti di una settimana fa È guerra mediatica tra
Marocco e Fronte Polisario, che dopo le violenze di lunedì scorso degli incidenti
continuano a diffondere bilanci sempre più gravi quanto distanti. L'attacco dell'esercito
marocchino contro un accampamento saharaoui nei pressi di Laayoune, avrebbe fatto,
secondo l'ultimo comunicato diffuso dagli indipendentisti saharaoui, “decine di morti,
più di 4.500 feriti e 2.000 prigionieri”. “Le violenze continuano”, ha spiegato all'Ansa
il ministro degli Esteri della Rasd (Repubblica araba saharaoui), Mohamed Ould Salek.
“La città è in stato di assedio e le forze di repressione marocchine continuano a
dare la caccia ai saharaoui”. Dodici gli agenti rimasti uccisi negli scontri per Rabat,
che parla di 96 persone arrestate per le violenze compiute contro la polizia. Intanto,
diventa sempre più difficile avere informazioni sull'attuale situazione nella zona.
Le autorità marocchine hanno blindato la città e impediscono l'accesso a giornalisti
e osservatori internazionali. Numerosi giornalisti, tra cui due italiani, sono stati
espulsi negli ultimi giorni da Laayoune. Cosi anche i reporter spagnoli vengono espulsi
dal Paese a seguito delle polemiche esplose con Madrid per la pubblicazione da parte
di alcuni media spagnoli, tra cui l'agenzia Efe ed El Pais, di foto di bambini feriti
a Gaza fatti passare per vittime delle violenze nel Sahara occidentale. (Panoramica
internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LIV no. 319
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