Human Rights Watch: reclutamento di bambini soldato per la guerra in Somalia
Nel campo di profughi somali di Dadaab, in Kenya, vengono reclutati bambini soldato
per la guerra in Somalia. E' quanto emerge dal Rapporto di Human Rights Watch. Negli
ultimi 20 anni, infatti, il conflitto in Somalia ha costretto migliaia di persone
a rifugiarsi nel vicino Kenya, specialmente nel campo di Dadaab che raccoglie quasi
300 mila persone, un terzo delle quali sono bambini. Debora Donnini ha sentito
Marco Rotelli, direttore generale di Intersos, organizzazione umanitaria presente
da anni in Somalia:
R. – I campi
di Dadaab sono i campi profughi più grandi del mondo. La recrudescenza del conflitto
in Somalia ha portato all’aumento di combattenti: uno dei bacini più accessibili per
gli insorti è proprio quello dei giovani che, per un terribile mix di condizioni venutesi
a creare, sono paradossalmente interessati a questo tipo di vita e di attività. Anche
i rifugiati somali che sono in Kenya, pur avendo assistenza umanitaria di standard
piuttosto elevato, vedono il proprio futuro con scarsissima fiducia. Afflitti da una
povertà ormai cronica, e in assenza di futuro, vedono le esperienze con i gruppi militanti
come un possibile sbocco.
D. – A reclutare questi bambini soldato somali
sono gli Shabaab, cioè il gruppo integralista islamico che lotta contro il governo
transitorio in Somalia o anche altri gruppi?
R. – Gli Shabaab rappresentano
il gruppo più potente e che, in qualche maniera, coordina l’attività di insorgenza
contro il governo transitorio. All’interno di questa grande coalizione di insorgenza
ci sono altri gruppi. E’ chiaro che, fuori dal coordinamento e dal controllo dello
stesso Shabaab, viene fatto poco. Anni fa, quando ancora la situazione non era così
estrema, quando organizzazioni come Intersos potevano lavorare con maggiore libertà
all’interno del Paese, non è stato possibile - soprattutto per mancanza di finanziamenti
e di una chiara strategia in questo senso - alimentare, per esempio, il livello di
educazione. Molti di questi giovani hanno dovuto trovare scolarizzazione primaria
in scuole particolarmente radicali e da qui il contatto tra giovani e gruppi armati
è diventato un flusso che ormai è ben consolidato.
D. – Il movimento
degli Shabaab è legato ad al Qaeda?
R. – Sono informazioni di intelligence
che trapelano e che danno un’interpretazione del genere. Sicuramente è un gruppo particolarmente
solido in questo momento, che riceve supporti fuori dai confini della Somalia. Ha
dimostrato, in pratica, di controllare fisicamente il 90 per cento della Somalia centromeridionale.
D. – Come mai questi gruppi riescono a penetrare in Kenya che, tra
l’altro, sostiene il governo transitorio e non appoggia questi gruppi?
R.
– Il Kenya è stato uno dei leader del processo di supporto al governo transitorio.
Le regioni dove si collocano le realtà di Dadaab sono piuttosto vicine ai confini
somali. Sono aree molto desertich dove il controllo delle autorità keniote esiste,
ma non può essere a tutti gli effetti efficace. Ci sono sicuramente delle infiltrazioni
e ogni comunità - per quanto in stato di rifugio - rimane in qualche maniera in collegamento
con il proprio Paese di origine. Questo vale per i campi di rifugiati, così come per
le diaspore. Il Rapporto fa bene a sottolineare come ormai il problema somalo sia
realtà concreta anche fuori dai confini della Somalia. Questa dovrebbe essere l’ennesima
allerta per fare in modo che la Comunità internazionale prenda il dossier somalo con
convinzione, anche di strategia politica, per risolvere un problema che ormai è diventato
enorme e ventennale. (bf)