Soddisfazione della Comunità di Sant’Egidio dopo la risoluzione all’Onu per la moratoria
delle esecuzioni capitali
La terza commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato, nei giorni scorsi,
una nuova Risoluzione per una moratoria universale della pena di morte, in vista di
una piena abolizione. Ci sono stati passi in avanti rispetto alla Risoluzione precedente
e tra i 107 voti favorevoli ci sono anche quelli di Mongolia e Maldive. E’ cresciuto
poi il fronte dei Paesi che si sono astenuti, tra cui Thailandia, Tanzania, Vietnam.
Hanno invece votato contro il congelamento delle esecuzioni capitali 38 Stati, tra
cui Cina, Stati Uniti, Bahamas, Egitto e Singapore. La Comunità di Sant’Egidio, da
anni in prima linea contro la pena di morte, sottolinea che si è trattato di un lavoro
intenso, svolto non solo al Palazzo di Vetro di New York, sede delle Nazioni Unite.
Ascoltiamo Mario Marazziti, portavoce di Sant’Egidio, intervistato da Francesca
Sabatinelli:
R. - La pena
di morte sta effettivamente diventando più “piccola”! Abbiamo ora anche Mongolia e
Maldive, due Stati in cui interveniamo e in cui siamo intervenuti direttamente. C’è
poi l’aumento delle astensioni: la riduzione cioè di voti contrari, che sono diventati
astensioni. In questo momento penso alla Guinea Conakry o al Niger che non era in
sala. Si tratta di due Paesi che hanno la pena di morte e con i quali abbiamo lavorato
intensamente per creare un percorso di pace preventiva, per uscire dalla dittatura
e da situazioni di colpi di Stati. Al riguardo, due sono state le iniziative della
Comunità di Sant’Egidio, negli ultimi mesi, in questi due Paesi. Io direi che la pena
di morta sta diventando veramente più “piccola”!
D. - Mario Marazziti,
voi non dimenticate come l’Europa abbia giocato un grande ruolo. Quale è il suo ruolo?
R.
- L’Europa ha il ruolo stabile, solido del grande motore di questa Risoluzione che,
però, fa un passo indietro: ci sono dieci Paesi - due per Continente - che sono stati
la task force. L’Europa era dentro la task force senza un ruolo di protagonismo eccessivo,
ma in realtà facendo questo lavoro - Paese per Paese - con grande forza e con grande
convinzione. Io direi che questa è l’Europa che preferiamo: quella che trova una posizione
unitaria, lavora con serietà, crea una politica estera comune e non ha bisogno di
tante etichette.
D. - Le esecuzioni negli Stati Uniti e in Cina, le
vicende come quella di Sakineh in Iran o come quella della donna pachistana cristiana
condannata a morte per blasfemia sono sotto gli occhi di tutti …
R.
- La pena di morte non è “finita”. C’è una grande battaglia culturale di civiltà e
politica: oggi non è più una questione solo di giustizia o di affari interni ai singoli
Paesi. E’ una questione di diritti umani. Questo è quello che cambia con la Risoluzione
dell’Onu, che la definisce una questione di interesse generale. Noi dobbiamo lavorare
affinché si capisca che la libertà religiosa rappresenta un guadagno per tutti. Io
non credo che ci sarà l’esecuzione di Asia Bibi in Pakistan per questo presunto reato
di blasfemia in un Paese dove non c’è mai stato un’esecuzione per questo reato. Ma
il solo fatto che sia stata comminata è un problema grave e noi dobbiamo aiutare il
Pakistan ad essere libero da questi estremisti. D’altra parte, il Pakistan ha recentemente
commutato 7.000 sentenze capitali e quindi crediamo di trovare ascolto. Per quanto
riguarda poi il caso di Sakineh, si tratta di un caso clamoroso di ingiustizia ed
anche un caso clamoroso perché tocca quello che fa orrore, la lapidazione… Sakineh
e Asia Bibi vanno salvate, ma va anche fermata la pena di morte in tutto il mondo!(mg)