Primo discorso in pubblico di Aung San Suu Kyi dopo la liberazione: "c'è democrazia
quando il popolo controlla il governo"
Acclamato oggi da migliaia di sostenitori il primo discorso ufficiale della leader
dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi liberata ieri dopo circa 15 anni di arresti
domiciliari. “Non c’è democrazia senza libertà di espressione” ha detto la donna,
premio Nobel per la pace, parlando a Yangon davanti la sede del suo partito, la Lega
nazionale per la democrazia. Nelle sue parole, che segnano il ritorno sulla scena
politica, ribaditi il ruolo di leader e l’impegno per il Paese, con un forte appello
alla speranza e all’unità. Sui punti salienti del discorso e sulle prospettive future
del Myanmar si sofferma, al microfono di Gabriella Ceraso, Stefano Vecchia,
esperto di questioni asiatiche
La
notizia della liberazione di Aung San Suu Kyi è stata accolta con gioia in tutto il
mondo. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato che è stata liberata
un’eroina e ha rivoto un appello al governo del Paese asiatico affinché siano rilasciati
tutti i prigionieri politici. Soddisfazione dal governo di New Dehli che afferma:
è un primo importante passo verso la riconciliazione e il cambiamento. Per un commento
sulla liberazione di Aung San Suu Kyi, Eugenio Bonanata ha intervistato Anna
Violante, coordinatrice in Italia per il Myanmar di Amnesty International:
R. - Il valore
della liberazione di Aung San Suu Kyi è per la popolazione birmana certamente una
grande cosa. E' una grande cosa non tanto per la fiducia che possono ora riporre nella
mossa del governo. Le autorità politiche del Paese hanno sicuramente fatto una mossa
di tipo opportunistico poiché, liberando Aung San Suu Kyi, la comunità internazionale
allenta la morsa intorno alla giunta e alle violazioni dei diritti umani. Ci si occupa
quindi meno di tutte le violazioni che rimangono. Ma essendo Aung San Suu Kyi - figlia
di Aung San, eroe nazionale del Paese - il più grande simbolo della Birmania ed essendo
il simbolo di una forza d’animo spaventosa, la sua stessa liberazione ha un valore
simbolico molto potente per la popolazione birmana. Aung San Suu Kyi, inoltre, non
intende mollare la lotta per la democrazia. E questo, certamente, è molto importante!
D.
- La liberazione di Aung San Suu Kyi non deve far dimenticare che nel Paese vi sono
altri prigionieri politici…
R. - Nel Paese vi sono 2.200 prigionieri politici,
che oltretutto nel 99,9 per cento dei casi sono prigionieri di coscienza. Sono in
prigione unicamente per aver espresso le proprie idee. Sono, tra l’altro, condannati
a pene gravissime che vanno dai 60 ai 90 anni di prigione in base a leggi molto vaghe
e interpretabili arbitrariamente. Non dimentichiamoci che in prima istanza sono stati
arrestati ingiustamente, come del resto la stessa Aung San Suu Kyi.
D. - Bisogna
quindi continuare con la pressione sulla giunta militare al potere...
R. -
Bisogna sicuramente continuare con la pressione sulla giunta militare al potere. Bisogna
anche continuare con la pressione sui Paesi dell’Asean, così come sulla Cina, sull’India
e sulla Thailandia che sono gli Stati che, più di tutti gli altri, hanno interessi
economici nel Paese.
D. - Questi Paesi potrebbero fare molto di più rispetto
all’Occidente?
R. - Potrebbero fare molto di più rispetto all’Occidente anche
perché le sanzioni dell’Occidente sono sanzioni che riguardano il commercio del legname,
delle pietre preziose e non toccano - ad esempio - lo sfruttamento dell’energia. Sappiamo,
inoltre, che le compagnie di assicurazioni hanno le loro agenzie in Birmania, e che
non sono assolutamente toccate. (mg)