2010-11-14 13:54:58

Primo discorso in pubblico di Aung San Suu Kyi dopo la liberazione: "c'è democrazia quando il popolo controlla il governo"


Primo discorso in pubblico di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana, liberata ieri dalla giunta militare, dopo aver trascorso circa 16 anni agli arresti domiciliari. Un nuovo bagno di folla davanti la sede del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, mentre la premio nobel per la pace, ha esortato la popolazione a non perdere la speranza ricordando che "c'è vera democrazia solo quando il popolo controlla il governo". Il servizio di Cecilia Seppia:RealAudioMP3

"Non c’è ragione di perdere la speranza. Non vi smarrite". 16 anni di reclusione tra carcere arresti domiciliari e celle di isolamento non hanno fermato Aung San Suu Kyi che il giorno dopo la sua liberazione, davanti la sede ormai fatiscente del suo partito, alza la voce per dire che non c’è democrazia senza libertà di espressione. Ad attendere le sue parole ancora migliaia di persone, ma anche una trentina di ambasciatori asiatici e occidentali ansiosi di parlare con lei. Di nuovo leader politica, di nuovo in grado di lottare per i diritti umani. “Anche se penso di sapere cosa volete - ha cominciato la Premio Nobel per la pace- vi chiedo di essere voi stessi a dirmelo. Insieme, decideremo quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto”. tra i capelli, ha poi esortato la folla a non spegnere il coraggio a non far morire la speranza. "C'è democrazia quando il popolo controlla il governo- ha affermato - e accetterò che il popolo mi controlli". L'icona della dissidenza birmana fa sapere di aver bisogno della sua gente e assicura di non temere le responsabilità, e di essere pronta a lavorare per migliorare il livello di vita in Birmania. Non credo che l'influenza e l'autorità di una sola persona possano far progredire un Paese, né assicurare la democrazia- ha affermato, chiedendo: "Se il mio popolo non è libero, come potete dire che io sono libera? Nessuno di noi lo è”. Una volontà di ferro in questa donna all’apparenza fragile. Ma le sue parole sono senza vendetta, senza rivendicazioni né rabbia per la prigionia degli ultimi 16 anni. Anzi, tranquillizza tutti dicendo che sono stati anni duri, ma gli ufficiali della sicurezza l’hanno trattata bene. Quindi l’appello decisivo alle nazioni occidentali a quelle orientali, perché aiutino il Myanmar: "La lotta per la democrazia-conclude_ deve partire unita, coerente e lucida".

La notizia della liberazione di Aung San Suu Kyi è stata accolta con gioia in tutto il mondo. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato che è stata liberata un’eroina e ha rivoto un appello al governo del Paese asiatico affinché siano rilasciati tutti i prigionieri politici. Soddisfazione dal governo di New Dehli che afferma: è un primo importante passo verso la riconciliazione e il cambiamento. Per un commento sulla liberazione di Aung San Suu Kyi, Eugenio Bonanata ha intervistato Anna Violante, coordinatrice in Italia per il Myanmar di Amnesty International:RealAudioMP3

R. - Il valore della liberazione di Aung San Suu Kyi è per la popolazione birmana certamente una grande cosa. E' una grande cosa non tanto per la fiducia che possono ora riporre nella mossa del governo. Le autorità politiche del Paese hanno sicuramente fatto una mossa di tipo opportunistico poiché, liberando Aung San Suu Kyi, la comunità internazionale allenta la morsa intorno alla giunta e alle violazioni dei diritti umani. Ci si occupa quindi meno di tutte le violazioni che rimangono. Ma essendo Aung San Suu Kyi - figlia di Aung San, eroe nazionale del Paese - il più grande simbolo della Birmania ed essendo il simbolo di una forza d’animo spaventosa, la sua stessa liberazione ha un valore simbolico molto potente per la popolazione birmana. Aung San Suu Kyi, inoltre, non intende mollare la lotta per la democrazia. E questo, certamente, è molto importante!

D. - La liberazione di Aung San Suu Kyi non deve far dimenticare che nel Paese vi sono altri prigionieri politici…

R. - Nel Paese vi sono 2.200 prigionieri politici, che oltretutto nel 99,9 per cento dei casi sono prigionieri di coscienza. Sono in prigione unicamente per aver espresso le proprie idee. Sono, tra l’altro, condannati a pene gravissime che vanno dai 60 ai 90 anni di prigione in base a leggi molto vaghe e interpretabili arbitrariamente. Non dimentichiamoci che in prima istanza sono stati arrestati ingiustamente, come del resto la stessa Aung San Suu Kyi.

D. - Bisogna quindi continuare con la pressione sulla giunta militare al potere...

R. - Bisogna sicuramente continuare con la pressione sulla giunta militare al potere. Bisogna anche continuare con la pressione sui Paesi dell’Asean, così come sulla Cina, sull’India e sulla Thailandia che sono gli Stati che, più di tutti gli altri, hanno interessi economici nel Paese.

D. - Questi Paesi potrebbero fare molto di più rispetto all’Occidente?

R. - Potrebbero fare molto di più rispetto all’Occidente anche perché le sanzioni dell’Occidente sono sanzioni che riguardano il commercio del legname, delle pietre preziose e non toccano - ad esempio - lo sfruttamento dell’energia. Sappiamo, inoltre, che le compagnie di assicurazioni hanno le loro agenzie in Birmania, e che non sono assolutamente toccate. (mg)







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