Primo discorso in pubblico di Aung San Suu Kyi dopo la liberazione: "c'è democrazia
quando il popolo controlla il governo"
Primo discorso in pubblico di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana,
liberata ieri dalla giunta militare, dopo aver trascorso circa 16 anni agli arresti
domiciliari. Un nuovo bagno di folla davanti la sede del suo partito, la Lega nazionale
per la democrazia, mentre la premio nobel per la pace, ha esortato la popolazione
a non perdere la speranza ricordando che "c'è vera democrazia solo quando il popolo
controlla il governo". Il servizio di Cecilia Seppia:
"Non
c’è ragione di perdere la speranza. Non vi smarrite". 16 anni di reclusione tra carcere
arresti domiciliari e celle di isolamento non hanno fermato Aung San Suu Kyi che il
giorno dopo la sua liberazione, davanti la sede ormai fatiscente del suo partito,
alza la voce per dire che non c’è democrazia senza libertà di espressione. Ad attendere
le sue parole ancora migliaia di persone, ma anche una trentina di ambasciatori asiatici
e occidentali ansiosi di parlare con lei. Di nuovo leader politica, di nuovo in grado
di lottare per i diritti umani. “Anche se penso di sapere cosa volete - ha cominciato
la Premio Nobel per la pace- vi chiedo di essere voi stessi a dirmelo. Insieme, decideremo
quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto”. tra i capelli,
ha poi esortato la folla a non spegnere il coraggio a non far morire la speranza.
"C'è democrazia quando il popolo controlla il governo- ha affermato - e accetterò
che il popolo mi controlli". L'icona della dissidenza birmana fa sapere di aver bisogno
della sua gente e assicura di non temere le responsabilità, e di essere pronta a lavorare
per migliorare il livello di vita in Birmania. Non credo che l'influenza e l'autorità
di una sola persona possano far progredire un Paese, né assicurare la democrazia-
ha affermato, chiedendo: "Se il mio popolo non è libero, come potete dire che io sono
libera? Nessuno di noi lo è”. Una volontà di ferro in questa donna all’apparenza fragile.
Ma le sue parole sono senza vendetta, senza rivendicazioni né rabbia per la prigionia
degli ultimi 16 anni. Anzi, tranquillizza tutti dicendo che sono stati anni duri,
ma gli ufficiali della sicurezza l’hanno trattata bene. Quindi l’appello decisivo
alle nazioni occidentali a quelle orientali, perché aiutino il Myanmar: "La lotta
per la democrazia-conclude_ deve partire unita, coerente e lucida".
La
notizia della liberazione di Aung San Suu Kyi è stata accolta con gioia in tutto il
mondo. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha dichiarato che è stata liberata
un’eroina e ha rivoto un appello al governo del Paese asiatico affinché siano rilasciati
tutti i prigionieri politici. Soddisfazione dal governo di New Dehli che afferma:
è un primo importante passo verso la riconciliazione e il cambiamento. Per un commento
sulla liberazione di Aung San Suu Kyi, Eugenio Bonanata ha intervistato Anna
Violante, coordinatrice in Italia per il Myanmar di Amnesty International:
R. - Il valore
della liberazione di Aung San Suu Kyi è per la popolazione birmana certamente una
grande cosa. E' una grande cosa non tanto per la fiducia che possono ora riporre nella
mossa del governo. Le autorità politiche del Paese hanno sicuramente fatto una mossa
di tipo opportunistico poiché, liberando Aung San Suu Kyi, la comunità internazionale
allenta la morsa intorno alla giunta e alle violazioni dei diritti umani. Ci si occupa
quindi meno di tutte le violazioni che rimangono. Ma essendo Aung San Suu Kyi - figlia
di Aung San, eroe nazionale del Paese - il più grande simbolo della Birmania ed essendo
il simbolo di una forza d’animo spaventosa, la sua stessa liberazione ha un valore
simbolico molto potente per la popolazione birmana. Aung San Suu Kyi, inoltre, non
intende mollare la lotta per la democrazia. E questo, certamente, è molto importante!
D.
- La liberazione di Aung San Suu Kyi non deve far dimenticare che nel Paese vi sono
altri prigionieri politici…
R. - Nel Paese vi sono 2.200 prigionieri
politici, che oltretutto nel 99,9 per cento dei casi sono prigionieri di coscienza.
Sono in prigione unicamente per aver espresso le proprie idee. Sono, tra l’altro,
condannati a pene gravissime che vanno dai 60 ai 90 anni di prigione in base a leggi
molto vaghe e interpretabili arbitrariamente. Non dimentichiamoci che in prima istanza
sono stati arrestati ingiustamente, come del resto la stessa Aung San Suu Kyi.
D.
- Bisogna quindi continuare con la pressione sulla giunta militare al potere...
R.
- Bisogna sicuramente continuare con la pressione sulla giunta militare al potere.
Bisogna anche continuare con la pressione sui Paesi dell’Asean, così come sulla Cina,
sull’India e sulla Thailandia che sono gli Stati che, più di tutti gli altri, hanno
interessi economici nel Paese.
D. - Questi Paesi potrebbero fare molto
di più rispetto all’Occidente?
R. - Potrebbero fare molto di più rispetto
all’Occidente anche perché le sanzioni dell’Occidente sono sanzioni che riguardano
il commercio del legname, delle pietre preziose e non toccano - ad esempio - lo sfruttamento
dell’energia. Sappiamo, inoltre, che le compagnie di assicurazioni hanno le loro agenzie
in Birmania, e che non sono assolutamente toccate. (mg)