Dopo le delusioni del G20, continua il dibattito internazionale sul fronte economico
con il vertice Asia Pacifico
Si è chiuso ieri il G20 a Seul. “La ripresa globale continua ad avanzare ma i rischi
di inversione permangono”, si legge nel comunicato finale del summit. I grandi della
terra si oppongono “alle svalutazioni competitive” e sostengono invece la "flessibilità
dei tassi di cambio", ribadendo la centralità dell’occupazione per evitare una nuova
caduta dell’economia mondiale. Sulle ragioni di tali pericoli, Giada Aquilino ha intervistato
Francesco Carlà, presidente di Finanza World:
R. – Esiste
il problema delle economie - soprattutto europee e anche degli Stati Uniti - che sono
uscite molto indebolite dalla crisi finanziaria del 2008 e non solo, con conseguenti
problematiche sui cambi di svalutazioni competitive, svalutazione delle monete e problemi
anche per i titoli di Stato. In questo scenario, poi, ci sono i Paesi che vanno meglio
e quelli che vanno peggio. Quelli che vanno meglio - Germania e anche un po’ Francia
in Europa, e naturalmente le economie emergenti, come la Cina e quelle asiatiche -
hanno meno interesse di quanto, invece, abbiano gli Stati Uniti e altri Paesi più
in difficoltà a trovare un accordo sui cambi. Quindi, c’è un po’ uno stallo, una situazione
- anche quella affrontata dal G20 – che, da un punto di vista politico, non sembra
ancora molto solida. Da un punto di vista economico, anche per questo scenario e per
queste cause, la ripresa risulta ancora anemica e debole.
D. – Da Seul è arrivato
un richiamo a non attuare svalutazioni monetarie competitive, procedimento, invece,
attuato anche di recente. Cosa significa?
R. – E’ un buon proposito ma gli
Stati Uniti sono i principali imputati di questa vicenda delle svalutazioni competitive,
stampando titoli a tutto spiano per indebolire il dollaro e per rafforzare la loro
ripresa delle esportazioni e, ancora più importante, per ridurre il valore assoluto
dell’enorme debito pubblico americano, che è uscito molto ampliato dagli interventi
che hanno dovuto fare nel 2008 …
R. – Per il nodo degli squilibri commerciali
si è tornati a dire no ai protezionismi…
R. – Anche sul fronte degli scambi
commerciali ci sono tali squilibri perché in questo momento la forza di Paesi esportatori
come la Cina si scontra con la difficoltà, invece, di altri Paesi. Anche la Germania
ha una grande forza di esportazione, mentre altri Stati hanno molta più difficoltà
a realizzare questa capacità di esportazione e per questo usano tutti i mezzi che
possono, tra cui anche le svalutazioni.
R. – In campo europeo, oltre ad affrontare
la crisi irlandese in atto, a Seul è emerso un forte ruolo della Germania ancora più
della Francia, che assume ora la guida del G20. Si potrebbe creare un asse Berlino-Pechino?
D.
– Da un punto di vista economico sono abbastanza schierate dalla stessa parte perché
sono i due massimi Paesi esportatori in questo momento. La Germania ha ristrutturato
la sua economia durante gli anni in cui si poteva fare e ora si trova in condizioni
molto positive da un punto di vista economico. La Cina sfrutta la possibilità di tenere
sotto controllo lo yuan, oltre ad avere altri fattori noti: cioè, il fatto che, per
esempio, il mercato del lavoro cinese non subisce le stesse regole, gli stessi diritti
di quello europeo e anche di quello americano; inoltre, la protezione dell’ambiente
non è garantita allo stesso modo … Quindi, per una serie di fattori - monetari e non
solo - per una forza intrinseca dei prodotti, dell’economia, si trovano abbastanza
sullo stesso piano. Dall’altra parte, ci sono gli Stati Uniti che hanno un problema
di debito pubblico che vogliono ridurre il più possibile o comunque controllare e
poi vogliono cercare di tenere il dollaro più debole possibile per garantirsi maggiore
esportazione. Anche se, in realtà, la forza dell’esportazione americana è sempre stata
nei prodotti ad alta tecnologia, dove il vantaggio di un dollaro più debole, onestamente,
io non lo vedo. (bf)
E sul fronte economico continua il dibattito internazionale.
Si e' ufficialmente aperto questa mattina il vertice Asia-Pacifico (Apec), cui partecipano
21 economie della regione, compresi Stati Uniti, Cina e Giappone. La liberalizzazione
del commercio tra le due sponde del Pacifico sarà il tema dominante del dibattito,
che si concluderà domani. A ridosso del summit, il presidente americano Obama ha difeso
la sua politica economica, assicurando il ruolo di primo piano degli Stati Uniti in
Asia. I dettagli da Linda Giannattasio:
Dopo le critiche
rivolte agli stati uniti durante il G20 che ha chiuso i battenti ieri, il presidente
Obama a Yokohama per il vertice Asia pacifico ha voluto fin da subito schierarsi in
difesa della politica economica americana e dei suoi sforzi per la ripresa. Gli Stati
Uniti hanno adottato un piano economico che ha portato a cinque trimestri consecutivi
di crescita e a dieci mesi ininterrotti di sviluppo dell'impresa privata” - ha spiegato
il capo della Casa Bianca, che ha lanciato un appello ai leader asiatici per una rapida
crescita dei mercati, sottolineando lo straordinario sviluppo economico dell’Asia,
dove, ha detto, l'America è ancora una volta leader. Ribadito anche l’obiettivo di
raddoppiare le esportazioni degli Stati Uniti nei prossimi cinque anni, un’opportunità
anche per l’occupazione americana. Obama ha spiegato di aver adottato la riforma finanziaria
più drastica dopo la Grande Depressione tagliando le spese non fondamentali, per far
fronte a importanti sfide di bilancio''. Misure – ha ribadito - che i partner del
G20 dovrebbero attuare altrettanto in fretta''.