2010-11-10 08:05:24

I nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est mettono a dura prova il processo di pace


“Sono enormi gli ostacoli che rimangono sulla via della pace”. Così il presidente statunitense Obama - dall’Indonesia, dov’è stato in visita - ha commentato la notizia sui nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est; oltre 1300 costruzioni che rischiano di far arenare definitivamente il processo di pace. Il servizio è di Graziano Motta: RealAudioMP3

La costruzione di nuove abitazioni a Gerusalemme Est ed Ariel sta causando, come abbiamo sentito, moltissime reazioni in ambito internazionale. Per un commento sulle ripercussioni reali sul processo di pace, Salvatore Sabatino ha sentito Maria Grazia Enardu, docente di Storia e Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze: RealAudioMP3

R. – L’iniziativa è improvvida, ma anche necessaria, perché la decisione di costruire nuovi appartamenti nei sobborghi di Gerusalemme e nella città di Ariel, viene presa dalle municipalità che procedono con i loro tempi e i loro metodi. E’ chiaro che questo annuncio, in un momento in cui il primo ministro israeliano è a Washington a fare discorsi che devono incoraggiare il processo di pace, capita in modo assolutamente devastante; ma questo nulla toglie alle linee di fondo, cioè che Israele continuerà a costruire. Le chiama costruzioni per “crescita fisiologica” e ha ragione, ma è anche vero che questo avviene su territori contesi.

D. – L’amministrazione americana ha spinto moltissimo per la ripresa dei negoziati. Il fatto che Obama abbia perso le elezioni di “mid-term” avrà delle conseguenze concrete per il processo di pace?

R. – Purtroppo sì, perché, per due anni, l’amministrazione americana, salvo fatti imprevedibili, non avrà un ruolo forte nella ripresa vera di un processo di pace. Non ci credono i palestinesi, non ci credono gli israeliani – e infatti anche questi ultimi fatti paiono indicare che gli israeliani sanno di poter procedere su una doppia linea di diplomazia e anche di fatti sul terreno – e non ci credono neanche gli americani, che hanno priorità anche internazionali di maggior livello. Quindi aspetteremo almeno due anni.(ap)









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